Painting and smoking smoking and painting
Sull'opera di Lorenza Boisi
Montecristo Project
2017
Secondo Gombrich il ruolo di padre della storia dell’arte dovrebbe esser attribuito ad Hegel: ‘’credo che lo storico dell’arte del nostro secolo’’ scriveva Gombrich, ‘’debba studiare Hegel così come lo studioso dell’arte ecclesiastica del Medioevo deve conoscere la Bibbia’’.
A mio parere non si tratta qui di un’opinione più o meno condivisibile, quanto di un affermazione essenzialmente esatta e che dovrebbe essere seguita alla lettera. Il punto essenziale di questo consiglio sta chiaramente in relazione alla metodologia filosofica Hegeliana e conseguentemente al suo contributo teorico alla definizione e comprensione dell’arte. All’interno di un sistema logico e sistematico ma non certamente chiuso ed immobile, Hegel individua l’elemento veritativo dell’arte nell’unità di reale ed ideale. Naturalmente così sommariamente riassunta e proposta la questione risulta poco comprensibile ed appiattita ad un livello da manuale scolastico, e per non esserlo, l’unica soluzione possibile sarebbe leggere lo stesso Hegel. Questo invito alla lettura ci conduce però al punto della questione: la conoscenza di Hegel è una manchevolezza di curatori e critici d’arte che, per la gran maggioranza dei casi, non hanno mai letto o studiato Hegel; magari hanno letto il francese Nicolas Bourriaud o l’americana Rosalind Krauss o l’italianissima Angela Vettese, ma non hanno mai letto Hegel. Le sue lezioni sull’arte sono state raccolte dagli allievi e tramandate a noi in un ‘’enorme librone’’ che alla vista sullo scaffale fa certamente concorrenza alla Bibbia. Ma se ancora nello scorso secolo Gombrich riconosceva l’importanza assoluta dell’insegnamento Hegeliano per l’arte, come mai oggi Hegel è diventato così poco interessante per gli storici dell’arte e i curatori dell’ultima generazione? Ma sopratutto che senso ha iniziare a parlare della pittrice Lorenza Boisi partendo da Hegel?
Per un artista leggere Hegel significa porsi secondo un orizzonte creativo assolutamente rigoroso e impegnativo, significa tener conto che qualsiasi cosa si faccia, questa cosa fatta debba dire nella sua forma sensibile tutto ciò che è l’idea, cioè l’assoluto nella sua forma soggettiva ed oggettiva e quindi individuale ma anche storica ed universale.
Insomma chi si pone il problema di fare arte non può rifuggire da questa complessità del fare; eppure, paradossalmente questa complessità sembra sfuggire verso un effimero vuoto dove il fare finisce per non significare più la pienezza empirica dell’ideale. Quello a cui stiamo assistendo oggi è la fine del rapporto veritativo di reale e ideale, dove il reale diviene nel fare come un qualcosa che manca ad esprimere sensibilmente la sua natura ideale (l’ideale è sempre qui da intendere non Platonicamente ma Hegelianamente, come assoluto che in sé mantiene il lato soggettivo ed individuale dell’artista ma anche quello sovra-individuale ed universale, espressione ideale del pensiero assoluto, quale unità di reale ed ideale). Chi fa arte e chi la giudica oggi lavora secondo un registro mentale che pone tra l’oggetto prodotto ed una supposta idealità, un collante narrativo che tiene insieme le forme empiriche ed il significato dell’oggetto nel suo contesto di legittimazione artistica.
In altre parole è il collante narrativo, il registro concettuale slegato ormai dalle forme sensibili dell’oggetto, a significare lo stato di artisticità. Nella grande maggioranza dei casi l’arte si costruisce dunque a tavolino, e come in un laboratorio si ricercano le storie narrative più interessanti su cui montare i pezzi di una artisticità che ci restituisce un fare il cui valore è legittimato a posteriori dalla sua stessa storia. Volendo riportare il discorso ad un livello comunicativo più diretto e comprensibile, anche a costo di perdere qualcosa in termini speculativi, potremmo dire che gli artisti contemporanei lavorano al contrario, per cui in termini anche esistenziali, l’artista non fa più quello che egli è, ma è quello che egli fa, esistendo programmaticamente in una vitalità da laboratorio dove i propri contenuti vitali, espressi nell’opera, risultano studiati a tavolino per una sicura accettazione nel campo della legittimazione artistica.
Questa è una strategia, un camuffamento imperante che si sta moltiplicando a macchia d’olio a seguito dei nuovi mezzi di comunicazione sempre più potenti e capillari, all’interno di una falsa coscienza (o mancanza di onestà intellettuale) che sostituisce la vita ‘’esperienziata’’ attraverso l’arte con un ‘’professionalismo’’ di volta in volta ricreato secondo degli standard di riconoscibilità tipici del mercato e della moda. Lo stesso Hegel con l’idea della ‘’morte dell’arte’’ aveva in un certo senso previsto questo processo; certo è poi che all’hegeliano Marx e ai suoi numerosi gli si tramanda il testimone di questo discorso. Le logiche del capitale, la sua ricaduta estetica nell’arte e nella cultura in generale diverranno il tema centrale per una nuova generazione di filosofi quali Adorno, Horkheimer, Benjamin, Lukàcs, Hauser ed altri ancora.
Ora non so se Lorenza Boisi abbia mai letto Hegel, certamente però la Boisi è al di là di qualsiasi ‘’professionalismo’’ artefatto.
Alle volte mi son domandato quale sarebbe oggi il comportamento degli artisti del passato in rapporto ai nuovi mezzi di comunicazione. Artisti geniali, maledetti e riottosi, quali Gauguin e Modigliani, o ancora più schivi ed instabili quali l’olandese Van Gogh ed il Norvegese Munch, come avrebbero utilizzato un mezzo di espressione e comunicazione quale facebook o instagram? Come sarebbe stata filtrata da immagini e post la loro vita? Facebook è diventato un meccanismo virtuale di auto-rappresentazione che se da una parte può essere un modo per nascondere e ricreare un idealità della propria persona, in ogni caso ne diviene un altro, e se si fa un po’ di attenzione, da questo filtro si possono comprendere molto cose, specialmente in relazione ad un artista. Lorenza Boisi riprende il discorso a quel punto della storia dell’arte in cui gli artisti concepivano ancora vitalmente la realtà nell’arte; il proprio lavoro di pittori e scultori coincideva ancora con l’esperienza stessa di essere artisti nel mondo, dove la realtà si viveva e si affrontava nell’arte.
Non è un caso che Lorenza si senta affascinata dalle opere di un Munch o di Matisse, di un Gauguin o di un Utrillo (e la lista sarebbe veramente lunga, perché non si possono escludere neppure i pittori cosiddetti minori!); questo perché si tratta ancora di un periodo storico in cui il mezzo artistico, in questo caso quello pittorico, funzionava ancora quale strumento di contatto e riflessione sul reale. Già questo ricollegarsi idealmente a tale periodo storico dell’arte fa di Lorenza Boisi un’anomalia del panorama artistico italiano. Guardare e ricercare un ponte ideale con la fine dell’800 mentre la sua generazione ricercava e otteneva consenso attraverso manierati minimalismi, pratiche poveriste e poetiche performative, è già un modo per esprimere la propria identità di artista.
Lorenza possiede un raffinato e personalissimo gusto per l’immagine. Il suo occhio vede e si ferma sull’immagine e la sa analizzare per quello che l’immagine è. Sembra paradossale ma la maggior parte degli artisti, storici dell’arte, curatori o cultori dell’arte in generale son praticamente ciechi davanti all’immagine. Lorenza vede, e se si trova davanti ad un Dalì vede anche un piccolo pipistrello su un lato del dipinto, non vede unicamente il quadro di un famoso pittore; anzi Dalì non è neppure il suo tipo di artista preferito, ma quel pipistrellino lì è comunque fatto molto bene ("L’ enigma di Hitler", Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid). Lorenza ama anche i pittori naive, anche quelli ‘’che non sanno dipingere’’, e la sua curiosità vaga alla ricerca di quelle immagini che la grande storia dell’arte ha spesso rifiutato o tralasciato.
Lorenza Boisi è una pittrice raffinata, una donna colta, ama la natura, specialmente la montagna con i suoi laghi e le gite in barca; ama i gatti, i vestiti colorati e la buona cucina. Anche nella vita reale Lorenza ricalca romanticamente i tempi di un altro mondo, ormai scomparso, ma di cui si può sognare ancora l’appartenenza.
E se Lorenza ama e vive in questo modo, è naturale che questa esperienza divenga un esteso della sua arte, rielaborata in pittura, ed espressa in ogni sua iniziativa. Al di sopra di qualsiasi misero individualismo, oltre la disperata ricerca di un posto al sole nella notorietà del mondo dell’arte, Lorenza Boisi fa gruppo, e diviene al nord Italia il centro di una creatività più sostenibile: MARS e CARS son iniziative parallele e che un giorno potrebbero esser ricomprese e ricontestualizzate rispetto alle tendenze normalizzanti ed asettiche del sistema dell’arte (d’altronde oggi, e non va dimenticato, noi tutti ci si ricorda dei mondani Salon francesi e della loro importanza soltanto in relazione ai Salon des Refusés).
Con questo dispendio di energie, che non troverà mai un’adeguata ricompensa se non nel fare artistico stesso, si ritorna indietro di 163 anni, si ritorna indietro a quell’atteggiamento rivoluzionario e controcorrente che spinse Courbet ad organizzare un «Padiglione del Realismo» ( fatto erigere dal pittore a proprie spese ), accanto all’esibizione normalizzante del Salòn parigino.
A questo punto a qualcuno potrebbe invece sorgere il dubço che questo radicamento nel passato non sia che un facile manierismo, l’appropriazione e la riproposizione di forme storicamente accettate e riconosciute. Sarebbe questo un giudizio indubbiamente superficiale e sbagliato, per cui il lavoro della Boisi seguirebbe una discendenza storica ormai superata ed oggi inattuale, attraverso un'impossibilità del mezzo pittorico, la cui unica ed ultima forma di valore, rimanda vanamente all’irripetibilità di quella cultura storica, a quel tempo tra '800 e '900, quando ancora (come molti sostengono) si poteva ‘’fare arte’’ attraverso la pittura. Premesso che questo ingiusto giudizio è già stato analiticamente analizzato e riformulato, sfruttato in salsa postmoderna da autori come Achille Bonito Oliva, che sotto il concetto di ‘’transavanguardia’’ hanno massivamente contribuito a decostruire il mezzo pittorico quale strumento di conoscenza della realtà, affermerei da subito che l’opera di Lorenza Boisi è lontana anni luce da qualsiasi forma pittorica postmoderna e ne è distante per delle ragioni che come vedremo sono fondamentali. Gli stessi parametri di giudizio estetico formulati sulla base delle ideologie post-moderne, come il concetto stesso delle ‘’transavanguardie’’, sono a nostro parere ormai vetusti per qualsiasi tipo di considerazione sull’attuale condizione dell’arte, perchè non tengono in considerazione quella profonda rivoluzione che la forte accelerazione dei sistemi di comunicazione ha causato, e che ha messo in discussione tutti i criteri valutativi basati sulla logica temporale ‘’del prima e del dopo’’ e sull’analogia formale.
Fino ancora agli anni ottanta, diciamo prima dell’avvento di internet, un fenomeno artistico per forza di cose non poteva che destinare la sua nascita ed il proprio sviluppo all’interno di una determinata area geografica, un determinato periodo storico, ma sopratutto all’interno di una determinata reti di relazioni sociali ed economiche. Facciamo un esempio pratico: chi ambiva ad essere un artista a metà '800, inizi '900 sapeva che non poteva pensare di divenirlo senza conoscere e vivere parte della sua vita a Parigi. In quella città si recavano a vivere gli artisti da tutto il mondo, lì si creava la nuova arte e tutti coloro che volevano partecipare a questa grande storia dell’immagine dovevano recarsi in questa città e magari prendere studio a Montmartre, il quartier generale degli artisti. Se si voleva dunque sapere e vedere che cosa stava succedendo in quegli anni, bisognava esser lì, vivere quella realtà, conoscere quel mondo e frequentare quella élite intellettuale, tra artisti, poeti, letterati, filosofi e rampanti mercanti d’arte.
Tutto questo localizzava l’arte in un tempo e luogo ben determinato, in cui l’immagine diveniva il frutto di una esperienza del mondo più o meno condivisa da un piccolo gruppo sociale. Questa stessa esperienza e l’immagine che da essa ne era generata diveniva per le generazioni successive un valore condivisibile ed assoluto destinato ad espandersi e ad evolversi rispetto alla storia, e ad altri luoghi, e quindi a gruppi sociali differenti. Tutto questo avveniva naturalmente secondo dei tempi fortemente dilatati e luoghi circoscritti che permettevano una comprensione dell’evoluzione artistica di tipo evoluzionistica. Si stabilivano così dei criteri temporali e quindi di valore per la creazione artistica originale ed originaria, e su questi si cercava di ricomporre una mappatura di sviluppo storico sulla base delle testimonianze visive e quindi sulle analogie formali.
Ma cosa succede oggi, quando internet ha eliminato la rilevanza dello spazio geografico e temporale, annullando le distanze ed appiattendo le relazioni sociali legate ad un luogo concreto?
L’ immagine si è slegata non solo dunque da qualsiasi parametro geografico-temporale, ma anche da qualsiasi parametro economico e sociale.
Per sapere quello che un artista X produce in una città X, in un tempo X, in un contesto socio-culturale X, non ci serve vivere né in quella città, né in quel contesto sociale, posso tranquillamente vedere ed osservare il tutto da casa, e se troviamo il lavoro di questo artista interessante possiamo contattarlo e porgli le domande che ci interessano, e magari il giorno dopo andarlo a trovare in studio con un volo last minute a 20 euro. Se internet ha annullato lo spazio ed il tempo della conoscenza, c’è a questo punto da chiederci quali sono le conseguenze di tale annullamento.
La pittura di Lorenza si richiama in termini formali alla cultura artistica tra '800 e '900: spesso Munch e Matisse ricompaiono nelle sue tele, come leggeri veli su una struttura pittorica ormai erosa e mutata da dentro, spettri che aleggiano nel quadro a simboleggiare un qualcosa che va oltre queste stesse forme, scomponendosi ericomponendosi sulla superficie, a formare una nuova realtà pittorica.
La tensione tra linee morbide e macchie di colore annacquate, il brusco utilizzo dei neri e dei colori elettrici, i contorni imprecisati ed evanescenti, ricostruiscono un’astrazione dalla realtà carica di una componente psichica molto forte. Ogni opera della Boisi guarda alla realtà, guarda soprattutto alle piccole cose che costituiscono la realtà. Lorenza dipinge il mondo che essa stessa vive, compaiono nei suoi quadri le tinte e le atmosfere dei luoghi nei quali essa abita, compare quella stessa realtà di cui Lorenza sembra voglia farci omaggio mostrandocela continuamente anche sui social. I quadri della Boisi si compongono di elementi minimi, mani che dipingono, una brocca con ori, un viso di bambina, un albero nel paesaggio, un bimbo nel paesaggio, una donna in giardino. Tutti questi elementi vengono tradotti però attraverso una psiche vibrante e malinconica, dove il colore diventa acido e satura lo spazio bianco della tela. L’astrazione della Boisi però non è mai oltre la realtà, si può parlare di forme snaturate o deformate, ma anche nei quadri più irreali, non possiamo evitare di percepire, dietro ad ogni astrazione, un chiaro e forte impulso della vita reale.
In questo senso Lorenza Boisi non può essere collocata né all’interno della pittura post-moderna, come ultima scia di una tradizione pittorica che in pittori come Chia hanno visto il declino e la ne del medium pittorico quale mezzo per affrontare e conoscere la realtà del mondo; né tantomeno in un manierismo da pittura commerciale, da ‘’galleria di successo’’, per cui si saccheggia qua e là il patrimonio visivo/culturale della pittura storica tra 800/900, con il fine di produrre quadri allegri e colorati da porre sulle ampie pareti di qualche architettura modernista.
La Boisi è semmai parte di una pittura che seppure non rifiuta l’astrazione e le forme inconsce della psiche, rimane attaccata ad una forma di realismo, un realismo che sopravvive sulle soglie dell’astrazione. Non è dunque un caso che la Boisi ammiri così tanto Munch un pittore che insieme a Van Gogh, ha dato origine ad una pittura fortemente espressiva, di forte contenuto psichico, spinta fino all’astrazione, ma sempre rimasta saldamente attaccata al reale. Per questi grandi maestri la pittura era ancora infatti un mezzo per esperire il reale, un medium di confronto tra il mondo ed il proprio io. Se la pittura di Lorenza Boisi si pone in termini assoluti su quello stesso confine tra astrazione e realtà, introspezione e realismo, la sua pittura racconta quel mondo di piccole cose tutto italiano di cui Guido Gozzano è stato il più grande autore in poesia. La pittura della Boisi è dunque capace di esaltare nel colore la materia più povera del reale, ‘’quelle buone cose di pessimo gusto’’ come le chiamava Gozzano, accentuandone psicologicamente i toni con un piglio colorato che più che distacco rappresenta il vivere intensamente e l’essere coinvolti emotivamente da ogni piccolo aspetto della propria esperienza di vita; ed ogni aspetto estetizzante e dandy della propria arte diviene per Lorenza un ironia tutta femminile per potersi difendere dagli imprevisti della vita.
Painting and smoking smoking and painting
Sull'opera di Lorenza Boisi
Montecristo Project
2017
Secondo Gombrich il ruolo di padre della storia dell’arte dovrebbe esser attribuito ad Hegel: ‘’credo che lo storico dell’arte del nostro secolo’’ scriveva Gombrich, ‘’debba studiare Hegel così come lo studioso dell’arte ecclesiastica del Medioevo deve conoscere la Bibbia’’.
A mio parere non si tratta qui di un’opinione più o meno condivisibile, quanto di un affermazione essenzialmente esatta e che dovrebbe essere seguita alla lettera. Il punto essenziale di questo consiglio sta chiaramente in relazione alla metodologia filosofica Hegeliana e conseguentemente al suo contributo teorico alla definizione e comprensione dell’arte. All’interno di un sistema logico e sistematico ma non certamente chiuso ed immobile, Hegel individua l’elemento veritativo dell’arte nell’unità di reale ed ideale. Naturalmente così sommariamente riassunta e proposta la questione risulta poco comprensibile ed appiattita ad un livello da manuale scolastico, e per non esserlo, l’unica soluzione possibile sarebbe leggere lo stesso Hegel. Questo invito alla lettura ci conduce però al punto della questione: la conoscenza di Hegel è una manchevolezza di curatori e critici d’arte che, per la gran maggioranza dei casi, non hanno mai letto o studiato Hegel; magari hanno letto il francese Nicolas Bourriaud o l’americana Rosalind Krauss o l’italianissima Angela Vettese, ma non hanno mai letto Hegel. Le sue lezioni sull’arte sono state raccolte dagli allievi e tramandate a noi in un ‘’enorme librone’’ che alla vista sullo scaffale fa certamente concorrenza alla Bibbia. Ma se ancora nello scorso secolo Gombrich riconosceva l’importanza assoluta dell’insegnamento Hegeliano per l’arte, come mai oggi Hegel è diventato così poco interessante per gli storici dell’arte e i curatori dell’ultima generazione? Ma sopratutto che senso ha iniziare a parlare della pittrice Lorenza Boisi partendo da Hegel?
Per un artista leggere Hegel significa porsi secondo un orizzonte creativo assolutamente rigoroso e impegnativo, significa tener conto che qualsiasi cosa si faccia, questa cosa fatta debba dire nella sua forma sensibile tutto ciò che è l’idea, cioè l’assoluto nella sua forma soggettiva ed oggettiva e quindi individuale ma anche storica ed universale.
Insomma chi si pone il problema di fare arte non può rifuggire da questa complessità del fare; eppure, paradossalmente questa complessità sembra sfuggire verso un effimero vuoto dove il fare finisce per non significare più la pienezza empirica dell’ideale. Quello a cui stiamo assistendo oggi è la fine del rapporto veritativo di reale e ideale, dove il reale diviene nel fare come un qualcosa che manca ad esprimere sensibilmente la sua natura ideale (l’ideale è sempre qui da intendere non Platonicamente ma Hegelianamente, come assoluto che in sé mantiene il lato soggettivo ed individuale dell’artista ma anche quello sovra-individuale ed universale, espressione ideale del pensiero assoluto, quale unità di reale ed ideale). Chi fa arte e chi la giudica oggi lavora secondo un registro mentale che pone tra l’oggetto prodotto ed una supposta idealità, un collante narrativo che tiene insieme le forme empiriche ed il significato dell’oggetto nel suo contesto di legittimazione artistica.
In altre parole è il collante narrativo, il registro concettuale slegato ormai dalle forme sensibili dell’oggetto, a significare lo stato di artisticità. Nella grande maggioranza dei casi l’arte si costruisce dunque a tavolino, e come in un laboratorio si ricercano le storie narrative più interessanti su cui montare i pezzi di una artisticità che ci restituisce un fare il cui valore è legittimato a posteriori dalla sua stessa storia. Volendo riportare il discorso ad un livello comunicativo più diretto e comprensibile, anche a costo di perdere qualcosa in termini speculativi, potremmo dire che gli artisti contemporanei lavorano al contrario, per cui in termini anche esistenziali, l’artista non fa più quello che egli è, ma è quello che egli fa, esistendo programmaticamente in una vitalità da laboratorio dove i propri contenuti vitali, espressi nell’opera, risultano studiati a tavolino per una sicura accettazione nel campo della legittimazione artistica.
Questa è una strategia, un camuffamento imperante che si sta moltiplicando a macchia d’olio a seguito dei nuovi mezzi di comunicazione sempre più potenti e capillari, all’interno di una falsa coscienza (o mancanza di onestà intellettuale) che sostituisce la vita ‘’esperienziata’’ attraverso l’arte con un ‘’professionalismo’’ di volta in volta ricreato secondo degli standard di riconoscibilità tipici del mercato e della moda. Lo stesso Hegel con l’idea della ‘’morte dell’arte’’ aveva in un certo senso previsto questo processo; certo è poi che all’hegeliano Marx e ai suoi numerosi gli si tramanda il testimone di questo discorso. Le logiche del capitale, la sua ricaduta estetica nell’arte e nella cultura in generale diverranno il tema centrale per una nuova generazione di filosofi quali Adorno, Horkheimer, Benjamin, Lukàcs, Hauser ed altri ancora.
Ora non so se Lorenza Boisi abbia mai letto Hegel, certamente però la Boisi è al di là di qualsiasi ‘’professionalismo’’ artefatto.
Alle volte mi son domandato quale sarebbe oggi il comportamento degli artisti del passato in rapporto ai nuovi mezzi di comunicazione. Artisti geniali, maledetti e riottosi, quali Gauguin e Modigliani, o ancora più schivi ed instabili quali l’olandese Van Gogh ed il Norvegese Munch, come avrebbero utilizzato un mezzo di espressione e comunicazione quale facebook o instagram? Come sarebbe stata filtrata da immagini e post la loro vita? Facebook è diventato un meccanismo virtuale di auto-rappresentazione che se da una parte può essere un modo per nascondere e ricreare un idealità della propria persona, in ogni caso ne diviene un altro, e se si fa un po’ di attenzione, da questo filtro si possono comprendere molto cose, specialmente in relazione ad un artista. Lorenza Boisi riprende il discorso a quel punto della storia dell’arte in cui gli artisti concepivano ancora vitalmente la realtà nell’arte; il proprio lavoro di pittori e scultori coincideva ancora con l’esperienza stessa di essere artisti nel mondo, dove la realtà si viveva e si affrontava nell’arte.
Non è un caso che Lorenza si senta affascinata dalle opere di un Munch o di Matisse, di un Gauguin o di un Utrillo (e la lista sarebbe veramente lunga, perché non si possono escludere neppure i pittori cosiddetti minori!); questo perché si tratta ancora di un periodo storico in cui il mezzo artistico, in questo caso quello pittorico, funzionava ancora quale strumento di contatto e riflessione sul reale. Già questo ricollegarsi idealmente a tale periodo storico dell’arte fa di Lorenza Boisi un’anomalia del panorama artistico italiano. Guardare e ricercare un ponte ideale con la fine dell’800 mentre la sua generazione ricercava e otteneva consenso attraverso manierati minimalismi, pratiche poveriste e poetiche performative, è già un modo per esprimere la propria identità di artista.
Lorenza possiede un raffinato e personalissimo gusto per l’immagine. Il suo occhio vede e si ferma sull’immagine e la sa analizzare per quello che l’immagine è. Sembra paradossale ma la maggior parte degli artisti, storici dell’arte, curatori o cultori dell’arte in generale son praticamente ciechi davanti all’immagine. Lorenza vede, e se si trova davanti ad un Dalì vede anche un piccolo pipistrello su un lato del dipinto, non vede unicamente il quadro di un famoso pittore; anzi Dalì non è neppure il suo tipo di artista preferito, ma quel pipistrellino lì è comunque fatto molto bene ("L’ enigma di Hitler", Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid). Lorenza ama anche i pittori naive, anche quelli ‘’che non sanno dipingere’’, e la sua curiosità vaga alla ricerca di quelle immagini che la grande storia dell’arte ha spesso rifiutato o tralasciato.
Lorenza Boisi è una pittrice raffinata, una donna colta, ama la natura, specialmente la montagna con i suoi laghi e le gite in barca; ama i gatti, i vestiti colorati e la buona cucina. Anche nella vita reale Lorenza ricalca romanticamente i tempi di un altro mondo, ormai scomparso, ma di cui si può sognare ancora l’appartenenza.
E se Lorenza ama e vive in questo modo, è naturale che questa esperienza divenga un esteso della sua arte, rielaborata in pittura, ed espressa in ogni sua iniziativa. Al di sopra di qualsiasi misero individualismo, oltre la disperata ricerca di un posto al sole nella notorietà del mondo dell’arte, Lorenza Boisi fa gruppo, e diviene al nord Italia il centro di una creatività più sostenibile: MARS e CARS son iniziative parallele e che un giorno potrebbero esser ricomprese e ricontestualizzate rispetto alle tendenze normalizzanti ed asettiche del sistema dell’arte (d’altronde oggi, e non va dimenticato, noi tutti ci si ricorda dei mondani Salon francesi e della loro importanza soltanto in relazione ai Salon des Refusés).
Con questo dispendio di energie, che non troverà mai un’adeguata ricompensa se non nel fare artistico stesso, si ritorna indietro di 163 anni, si ritorna indietro a quell’atteggiamento rivoluzionario e controcorrente che spinse Courbet ad organizzare un «Padiglione del Realismo» ( fatto erigere dal pittore a proprie spese ), accanto all’esibizione normalizzante del Salòn parigino.
A questo punto a qualcuno potrebbe invece sorgere il dubço che questo radicamento nel passato non sia che un facile manierismo, l’appropriazione e la riproposizione di forme storicamente accettate e riconosciute. Sarebbe questo un giudizio indubbiamente superficiale e sbagliato, per cui il lavoro della Boisi seguirebbe una discendenza storica ormai superata ed oggi inattuale, attraverso un'impossibilità del mezzo pittorico, la cui unica ed ultima forma di valore, rimanda vanamente all’irripetibilità di quella cultura storica, a quel tempo tra '800 e '900, quando ancora (come molti sostengono) si poteva ‘’fare arte’’ attraverso la pittura. Premesso che questo ingiusto giudizio è già stato analiticamente analizzato e riformulato, sfruttato in salsa postmoderna da autori come Achille Bonito Oliva, che sotto il concetto di ‘’transavanguardia’’ hanno massivamente contribuito a decostruire il mezzo pittorico quale strumento di conoscenza della realtà, affermerei da subito che l’opera di Lorenza Boisi è lontana anni luce da qualsiasi forma pittorica postmoderna e ne è distante per delle ragioni che come vedremo sono fondamentali. Gli stessi parametri di giudizio estetico formulati sulla base delle ideologie post-moderne, come il concetto stesso delle ‘’transavanguardie’’, sono a nostro parere ormai vetusti per qualsiasi tipo di considerazione sull’attuale condizione dell’arte, perchè non tengono in considerazione quella profonda rivoluzione che la forte accelerazione dei sistemi di comunicazione ha causato, e che ha messo in discussione tutti i criteri valutativi basati sulla logica temporale ‘’del prima e del dopo’’ e sull’analogia formale.
Fino ancora agli anni ottanta, diciamo prima dell’avvento di internet, un fenomeno artistico per forza di cose non poteva che destinare la sua nascita ed il proprio sviluppo all’interno di una determinata area geografica, un determinato periodo storico, ma sopratutto all’interno di una determinata reti di relazioni sociali ed economiche. Facciamo un esempio pratico: chi ambiva ad essere un artista a metà '800, inizi '900 sapeva che non poteva pensare di divenirlo senza conoscere e vivere parte della sua vita a Parigi. In quella città si recavano a vivere gli artisti da tutto il mondo, lì si creava la nuova arte e tutti coloro che volevano partecipare a questa grande storia dell’immagine dovevano recarsi in questa città e magari prendere studio a Montmartre, il quartier generale degli artisti. Se si voleva dunque sapere e vedere che cosa stava succedendo in quegli anni, bisognava esser lì, vivere quella realtà, conoscere quel mondo e frequentare quella élite intellettuale, tra artisti, poeti, letterati, filosofi e rampanti mercanti d’arte.
Tutto questo localizzava l’arte in un tempo e luogo ben determinato, in cui l’immagine diveniva il frutto di una esperienza del mondo più o meno condivisa da un piccolo gruppo sociale. Questa stessa esperienza e l’immagine che da essa ne era generata diveniva per le generazioni successive un valore condivisibile ed assoluto destinato ad espandersi e ad evolversi rispetto alla storia, e ad altri luoghi, e quindi a gruppi sociali differenti. Tutto questo avveniva naturalmente secondo dei tempi fortemente dilatati e luoghi circoscritti che permettevano una comprensione dell’evoluzione artistica di tipo evoluzionistica. Si stabilivano così dei criteri temporali e quindi di valore per la creazione artistica originale ed originaria, e su questi si cercava di ricomporre una mappatura di sviluppo storico sulla base delle testimonianze visive e quindi sulle analogie formali.
Ma cosa succede oggi, quando internet ha eliminato la rilevanza dello spazio geografico e temporale, annullando le distanze ed appiattendo le relazioni sociali legate ad un luogo concreto?
L’ immagine si è slegata non solo dunque da qualsiasi parametro geografico-temporale, ma anche da qualsiasi parametro economico e sociale.
Per sapere quello che un artista X produce in una città X, in un tempo X, in un contesto socio-culturale X, non ci serve vivere né in quella città, né in quel contesto sociale, posso tranquillamente vedere ed osservare il tutto da casa, e se troviamo il lavoro di questo artista interessante possiamo contattarlo e porgli le domande che ci interessano, e magari il giorno dopo andarlo a trovare in studio con un volo last minute a 20 euro. Se internet ha annullato lo spazio ed il tempo della conoscenza, c’è a questo punto da chiederci quali sono le conseguenze di tale annullamento.
La pittura di Lorenza si richiama in termini formali alla cultura artistica tra '800 e '900: spesso Munch e Matisse ricompaiono nelle sue tele, come leggeri veli su una struttura pittorica ormai erosa e mutata da dentro, spettri che aleggiano nel quadro a simboleggiare un qualcosa che va oltre queste stesse forme, scomponendosi ericomponendosi sulla superficie, a formare una nuova realtà pittorica.
La tensione tra linee morbide e macchie di colore annacquate, il brusco utilizzo dei neri e dei colori elettrici, i contorni imprecisati ed evanescenti, ricostruiscono un’astrazione dalla realtà carica di una componente psichica molto forte. Ogni opera della Boisi guarda alla realtà, guarda soprattutto alle piccole cose che costituiscono la realtà. Lorenza dipinge il mondo che essa stessa vive, compaiono nei suoi quadri le tinte e le atmosfere dei luoghi nei quali essa abita, compare quella stessa realtà di cui Lorenza sembra voglia farci omaggio mostrandocela continuamente anche sui social. I quadri della Boisi si compongono di elementi minimi, mani che dipingono, una brocca con ori, un viso di bambina, un albero nel paesaggio, un bimbo nel paesaggio, una donna in giardino. Tutti questi elementi vengono tradotti però attraverso una psiche vibrante e malinconica, dove il colore diventa acido e satura lo spazio bianco della tela. L’astrazione della Boisi però non è mai oltre la realtà, si può parlare di forme snaturate o deformate, ma anche nei quadri più irreali, non possiamo evitare di percepire, dietro ad ogni astrazione, un chiaro e forte impulso della vita reale.
In questo senso Lorenza Boisi non può essere collocata né all’interno della pittura post-moderna, come ultima scia di una tradizione pittorica che in pittori come Chia hanno visto il declino e la ne del medium pittorico quale mezzo per affrontare e conoscere la realtà del mondo; né tantomeno in un manierismo da pittura commerciale, da ‘’galleria di successo’’, per cui si saccheggia qua e là il patrimonio visivo/culturale della pittura storica tra 800/900, con il fine di produrre quadri allegri e colorati da porre sulle ampie pareti di qualche architettura modernista.
La Boisi è semmai parte di una pittura che seppure non rifiuta l’astrazione e le forme inconsce della psiche, rimane attaccata ad una forma di realismo, un realismo che sopravvive sulle soglie dell’astrazione. Non è dunque un caso che la Boisi ammiri così tanto Munch un pittore che insieme a Van Gogh, ha dato origine ad una pittura fortemente espressiva, di forte contenuto psichico, spinta fino all’astrazione, ma sempre rimasta saldamente attaccata al reale. Per questi grandi maestri la pittura era ancora infatti un mezzo per esperire il reale, un medium di confronto tra il mondo ed il proprio io. Se la pittura di Lorenza Boisi si pone in termini assoluti su quello stesso confine tra astrazione e realtà, introspezione e realismo, la sua pittura racconta quel mondo di piccole cose tutto italiano di cui Guido Gozzano è stato il più grande autore in poesia. La pittura della Boisi è dunque capace di esaltare nel colore la materia più povera del reale, ‘’quelle buone cose di pessimo gusto’’ come le chiamava Gozzano, accentuandone psicologicamente i toni con un piglio colorato che più che distacco rappresenta il vivere intensamente e l’essere coinvolti emotivamente da ogni piccolo aspetto della propria esperienza di vita; ed ogni aspetto estetizzante e dandy della propria arte diviene per Lorenza un ironia tutta femminile per potersi difendere dagli imprevisti della vita.