Luigi Mazzarelli
Una storia del possibile
La costante resistenziale e la figura di Luigi Mazzarelli
Montecristo Project
2023
I
Uno degli intenti principali della nostra ricerca è quello di espandere la narrazione dell’arte sarda moderna e contemporanea verso quegli elementi marginali, che si ripresentano come sintomi di storie alternative, configurazioni del possibile.
È una metodologia che che prende forma come archeologia psichica, rigettando un modello storico progressivo e lineare in favore di un’indagine delle pieghe temporali, dei punti di contatto tra cronologie eterogenee che si manifestano attraverso le immagini. Questa necessità nasce sicuramente da una reazione allo stato attuale delle cose, da una storicizzazione dell’arte sarda che percepiamo lontana dal nostro sentire e dalla capacità di proiettare sul passato e sul futuro qualsiasi forma di idealità, di visione delle cose.
Questo sentire ci sembra sia stato condiviso, anni fa, da Luigi Mazzarelli, autore di una storia sociale dell’arte sarda che non ha mai visto la luce come pubblicazione ufficiale.
Venire a conoscenza degli scritti, della vita e dell’opera di questo artista è stato un modo sorprendente di scoprire come una critica strutturale interna all’avanguardia sarda, non in forma di rifiuto, ma anzi di articolazione e problematizzazione, fosse già stata portata in maniera estremamente precisa ed analitica.
Una critica talmente rigorosa e tagliente che ha coinciso con l’oblio in cui è finito colui che la portava.
Vorremmo, attraverso i diversi testi e progetti espositivi dedicati a Mazzarelli, chiarire le ragioni che legano il nostro progetto di Costante Resistenziale a questa figura. Cercheremo di mostrare i motivi per cui la sua visione è tuttora strumento essenziale per affrontare la storia dell’arte sarda, sia in termini di progetti per il futuro che, per parafrasare Flaiano, di progetti per il passato.
II
Nelle rare menzioni in cataloghi, mostre e pubblicazioni Luigi Mazzarelli appare talvolta citato come animatore del “Gruppo di iniziativa” o ancora come sperimentatore sul versante della percezione visiva, ma ciò che di questo artista è veramente significativo è proprio lo scarto con cui si è consapevolmente allontanato da queste esperienze.
Ecco, quello che vorremmo evidenziare è precisamente l’aspetto “resistenziale” dell’artista, il suo percorso unico e solitario rispetto alla sua generazione.
Ma in cosa questo percorso è stato sostanzialmente unico?
Da una prospettiva storica si definisce in maniera chiara il cammino complessivo di un artista, la sua traiettoria attraverso la storia. Lo possiamo fare per ognuno dei protagonisti della generazione di Mazzarelli: Brundu, Rossi, Leinardi, Sciola, Pantoli. Tuttavia per ognuno di loro potremmo tracciare delle precise ascendenze che ci aiutano a comprenderne l’orientamento nella ricerca: quella sorta di oroscopo che sembra essere la storia dell’arte quando lavora per genealogie.
Per ognuno di questi artisti potremmo delineare influenze molto precise nelle varie fasi del loro percorso e proprio per questo carattere epigonale essi perdono di rilievo quando li misuriamo ai grandi delle avanguardie d’oltremare.
Questo procedimento, che possiamo applicare a numerosi artisti del suo tempo, con Mazzarelli è plausibile solo sino al 1970, la data cioè del primo rogo. In questo atto iconoclasta l’artista rinuncia a tutta quella ricerca che aveva svolto partendo dagli esercizi accademici, poi impressionisti e via fino all’optical cinetico.
Il rogo sembra voler interrompere la catena di rapporti storici diretti, sequenziali, dei linguaggi visivi moderni a cui ogni artista assolve allo stesso modo in cui in altri tempi ci si poteva sottoporre alla pratica della copia dal vero di drappeggi o del nudo.
A rendere la ricerca di Luigi Mazzarelli davvero rilevante è proprio la sua decisione di sottrarsi alle dinamiche generali del proprio tempo, il fatto di non poter essere inserito in nessuna corrente, casella, movimento.
In realtà Mazzarelli ha compreso come l’arte, dai primi del Novecento agli anni ‘80, sia diventata sempre più un mondo a sé, in cui si consuma una rapida evoluzione e corrosione del linguaggio visivo, non tanto in rapporto al mondo e al reale, ma rispetto al linguaggio stesso e alla storia dell’arte. Dunque un sistema linguistico chiuso in cui ai segni corrispondono solo altri segni, in una circolarità perfetta.
Questo tipo di pratica circolare ha uno scopo molto chiaro: eliminare il concetto di referenza, poichè questo genera inevitabilmente la polisemia e l’ambiguità di ogni segno. Quest’idea disturba le tendenze costruttiviste che vorrebbero ridurre tutto a sistema analitico puro, fa inoltre girare a vuoto le tendenze informali, dal momento che la referenza priva i segni della loro immediata e pura espressione di pulsioni psichiche ed emotive.
Quello che secondo noi rende cruciale il lavoro di Luigi Mazzarelli è l’intento di partire dall'analisi di questa idea di erosione e circolarità del linguaggio per costruire una genealogia semantica che va a cercare un senso nelle ragioni stesse della pittura e della sua tradizione, nel suo patrimonio frettolosamente dilapidato dalle avanguardie.
Tutta la ricerca dell’artista, come vedremo, sarà quindi tesa a una ricostruzione degli strumenti del linguaggio pittorico, della semantica visiva o “grammatica del deserto” come lui la chiamava. Tutto questo, è importante dirlo, in quegli anni in cui il sistema dell’arte mondiale si trovava ostaggio di una apparente impasse imposta da un concettualismo che scambiava le sue proposizioni analitiche e tautologie linguistiche per una realtà oggettiva e universale.
Luigi Mazzarelli comincia il proprio discorso a partire dalla fine: il principio del suo cammino teorico è infatti la cosiddetta morte dell'arte. Questo concetto, sviluppatosi nel contesto dell’estetica Hegeliana, ha fatto coincidere la nascita dell’autoconsapevolezza artistico-estetica con il venir meno di un possibile equilibrio tra il contenuto e la forma nell’opera d’arte. Questo perfetto bilanciamento era stato raggiunto, secondo Hegel, soltanto con l’arte classica, momento di pienezza espressiva e di accordo tra il concetto-contenuto e la forma espressiva sensibile.
Questa morte non ha tuttavia nulla a che vedere con la fine delle opere d’arte o con la scomparsa dei grandi artisti: è semplicemente il venire meno dell’arte intesa come assoluto; la fine dell’arte moderna coincide con la sua incapacità di essere, a differenza di quella classica, espressione totale della sua enorme carica di contenuto filosofico e autoriflessivo.
Mazzarelli sente che l’arte deve necessariamente puntare a questo obiettivo per farsi carico di un rapporto espressivo pieno con il reale storico, culturale e naturale.
Il problema, per come viene posto e affrontato da Luigi Mazzarelli, è oggi più che mai valido e pregnante. Lo è almeno per noi e per chi crede che il linguaggio visivo offra parametri e riferimenti che diano forma e senso all’esperienza di vita e alla necessità di esprimersi.
Lo sforzo maggiore compiuto da Mazzarelli è stato il tentativo di offrire delle alternative alla fine del linguaggio, che per lui si era manifestata, chiara come una pietra tombale, nel Quadrato bianco su fondo bianco dipinto nel 1918 da Malevic.
E’ questo dipinto a portare al grado zero del linguaggio e, se il linguaggio lo prendiamo come fatto oggettivo, sociale, storico, questo quadro ci dà il benvenuto nel vuoto, nel nulla.
Quest’opera risolve definitivamente il rapporto tradizionale tra figura e sfondo, messo in crisi dal cubismo e definitivamente esauritosi nell’opera del suprematista russo.
E’ qui che si compie infine il percorso con cui l’arte, dall’impressionismo al suprematismo e infine all’informale ha cercato di torturare ed annichilire il linguaggio.
Fine. E inizio.
Per poter ridare al processo artistico il suo senso totale e pieno bisogna affrontare e risolvere questa impasse linguistica. Per Mazzarelli oggi non può avere prospettiva e futuro una pittura che non risolva prima le contraddizioni e l’afasia generata dalla tendenza iconoclasta delle avanguardie: è fondamentale ripartire da questo deserto per creare una semantica visiva in rapporto a quel riferimento centrale che è la natura.
Senza quell’atto traumatico che è stato il rogo del 1970, Mazzarelli non si sarebbe mai liberato del problema costituito dall’esaurirsi del linguaggio, dalla costante fibrillazione del pittore di provincia che cerca di tenersi al passo con le novità che arrivano dal continente. Era necessario prendere il problema di peso, fare tabula rasa e compiere uno sforzo semiologico titanico, che è confluito nell’ultima opera, colossale e mai esposta, di Mazzarelli: Il Libro Bianco.
Accogliere la forma di critica radicale da lui proposta, dunque, coinciderebbe col rigettare i prodotti di un’epoca che si sta ancora consumando dietro un’idea di progresso e di avanzamento artistico, un concetto rozzo di sperimentazione che coincide in maniera inquietante con l’isteria.
Non c’è così da meravigliarsi se Mazzarelli viene oggi riesumato solo come fondatore della rivista Thèlema o con sparute comparsate in mostre collettive amarcord: non si può pensare di venire celebrati ed esaltati da un sistema che si è cercato tanto a lungo di smantellare e minare.
La necessità impellente di Mazzarelli, il tavolo su cui ha scommesso tutto ciò che aveva, era il tentativo di far rientrare il linguaggio su un piano di contatto diretto con il reale, riunendo significato e forma. Questo significa riportare la rappresentazione a una forma di contatto col mondo capace di esprimerne, anche e soprattutto con sistemi aniconici, il complesso di relazioni che caratterizzano la conoscenza come forma di esplorazione cognitiva.
Per compiere questo processo era necessario attraversare la storia dell’arte alla ricerca di un filo interrotto ed originario da cui ripartire: un titanico sforzo analitico volto al recupero del possibile, alla scoperta di strade non percorse in quel processo di annichilimento del linguaggio costituito dalle avanguardie storiche.
Questo attraversamento, per come viene descritto, ha molto a che fare con il concepire un nuovo sistema di temporalità la cui struttura possiamo immaginare come un modello dinamico in cui i piani cronologici si trovano in un rapporto dialettico elastico e costantemente mutevole. Per intenderci, nessuna nostalgia o recupero in stile transavanguardia: Mazzarelli analizza questa corrente nei suoi testi evidenziando come, sebbene ci siano stati anche esiti pregevoli dal punto di vista artistico, questo genere di recupero abbia il fiato corto prima ancora di partire. L’attraversamento quindi si compie tra le pieghe del tempo che uniscono lembi cronologici coincidenti per un momento nel rapporto di breccia che il presente è capace di proiettare sul passato, al fine di modificare il proprio stato.
Questo modello temporale apre alla dimensione della possibilità, un approccio se vogliamo deterministico che per Mazzarelli, che riprende questa idea da Bergson, va a configurare il possibile come una dimensione che non prescinde dal reale. È il farsi del reale stesso (in questo caso in forma d’immagine) ad aprire la dimensione del possibile, a rendere visibili quei sentieri che avrebbero potuto essere percorsi e non lo sono stati, a fornirci la condizione di un arbitrio condizionato che possa liberare il presente ridando forma al passato, tramite la rivalutazione delle forme fossili e una loro riattivazione “animistica”.
Nel Libro Bianco vengono esplorati, in forma narrativa e visiva, sia il destino del linguaggio attraverso le avanguardie sia una sua possibile, originalissima e personale rifondazione. Si ripristina un senso attraverso mondi popolati di punti, linee, bacchette, spiedini, salsicciotti semantici che vengono codificati meticolosamente ed inseriti in un sistema linguistico che rielabora, connette e rigenera la grammatica Kandinskyana e il blotting di Cozens, la prospettiva aerea leonardesca e quella inversa bizantina.
Per compiere l’uscita dal deserto dell’impotenza creativa è però necessario qualcosa di più; è fondamentale liberarsi di ciò che l’idea di arte e di artista sono diventati negli ultimi settant’anni. Mazzarelli nel 1988, conclusa in maniera solitaria e drammatica l’esperienza di Thèlema, rassegna le sue dimissioni da artista con una lettera-opera di cui oggi non sappiamo il destino. Nel 1996 arrivò invece il secondo rogo, in cui tutta la produzione (ad eccezione del Libro Bianco) dell’artista in suo possesso, migliaia tra dipinti e disegni, alimenta un nuovo, enorme fuoco.
E’ anche grazie a questa dialettica legata alla distruzione spietata e alla ricostruzione radicale che oggi possiamo distinguere Mazzarelli da quegli artisti che hanno sviluppato forme di appropriazione ed emulazione linguistica che costituiscono la base programmatica delle avanguardie in Sardegna dagli anni ‘50 in avanti.
Il suo esercizio critico rigoroso nei confronti di sé stesso, dell’arte contemporanea e dei suoi interpreti è la via più chiara ed esatta all’analisi del valore di quanto, dagli anni ‘50 ai 2000, è stato prodotto in Sardegna sotto l’egida di un micro-sistema dell’arte ricalcato sull’imitazione di modelli nazionali ed internazionali.
III
Seguendo le orme di Luigi Mazzarelli abbiamo anche noi cercato una alternativa possibile alla lettura della storia recente dell’arte sarda; questo cammino a nostro modo di vedere è percorribile su un piano non solo artistico, ma soprattutto antropologico.
Luigi Mazzarelli
Una storia del possibile
La costante resistenziale e la figura di Luigi Mazzarelli
Montecristo Project
2023
I
Uno degli intenti principali della nostra ricerca è quello di espandere la narrazione dell’arte sarda moderna e contemporanea verso quegli elementi marginali, che si ripresentano come sintomi di storie alternative, configurazioni del possibile.
È una metodologia che che prende forma come archeologia psichica, rigettando un modello storico progressivo e lineare in favore di un’indagine delle pieghe temporali, dei punti di contatto tra cronologie eterogenee che si manifestano attraverso le immagini. Questa necessità nasce sicuramente da una reazione allo stato attuale delle cose, da una storicizzazione dell’arte sarda che percepiamo lontana dal nostro sentire e dalla capacità di proiettare sul passato e sul futuro qualsiasi forma di idealità, di visione delle cose.
Questo sentire ci sembra sia stato condiviso, anni fa, da Luigi Mazzarelli, autore di una storia sociale dell’arte sarda che non ha mai visto la luce come pubblicazione ufficiale.
Venire a conoscenza degli scritti, della vita e dell’opera di questo artista è stato un modo sorprendente di scoprire come una critica strutturale interna all’avanguardia sarda, non in forma di rifiuto, ma anzi di articolazione e problematizzazione, fosse già stata portata in maniera estremamente precisa ed analitica.
Una critica talmente rigorosa e tagliente che ha coinciso con l’oblio in cui è finito colui che la portava.
Vorremmo, attraverso i diversi testi e progetti espositivi dedicati a Mazzarelli, chiarire le ragioni che legano il nostro progetto di Costante Resistenziale a questa figura. Cercheremo di mostrare i motivi per cui la sua visione è tuttora strumento essenziale per affrontare la storia dell’arte sarda, sia in termini di progetti per il futuro che, per parafrasare Flaiano, di progetti per il passato.
II
Nelle rare menzioni in cataloghi, mostre e pubblicazioni Luigi Mazzarelli appare talvolta citato come animatore del “Gruppo di iniziativa” o ancora come sperimentatore sul versante della percezione visiva, ma ciò che di questo artista è veramente significativo è proprio lo scarto con cui si è consapevolmente allontanato da queste esperienze.
Ecco, quello che vorremmo evidenziare è precisamente l’aspetto “resistenziale” dell’artista, il suo percorso unico e solitario rispetto alla sua generazione.
Ma in cosa questo percorso è stato sostanzialmente unico?
Da una prospettiva storica si definisce in maniera chiara il cammino complessivo di un artista, la sua traiettoria attraverso la storia. Lo possiamo fare per ognuno dei protagonisti della generazione di Mazzarelli: Brundu, Rossi, Leinardi, Sciola, Pantoli. Tuttavia per ognuno di loro potremmo tracciare delle precise ascendenze che ci aiutano a comprenderne l’orientamento nella ricerca: quella sorta di oroscopo che sembra essere la storia dell’arte quando lavora per genealogie.
Per ognuno di questi artisti potremmo delineare influenze molto precise nelle varie fasi del loro percorso e proprio per questo carattere epigonale essi perdono di rilievo quando li misuriamo ai grandi delle avanguardie d’oltremare.
Questo procedimento, che possiamo applicare a numerosi artisti del suo tempo, con Mazzarelli è plausibile solo sino al 1970, la data cioè del primo rogo. In questo atto iconoclasta l’artista rinuncia a tutta quella ricerca che aveva svolto partendo dagli esercizi accademici, poi impressionisti e via fino all’optical cinetico.
Il rogo sembra voler interrompere la catena di rapporti storici diretti, sequenziali, dei linguaggi visivi moderni a cui ogni artista assolve allo stesso modo in cui in altri tempi ci si poteva sottoporre alla pratica della copia dal vero di drappeggi o del nudo.
A rendere la ricerca di Luigi Mazzarelli davvero rilevante è proprio la sua decisione di sottrarsi alle dinamiche generali del proprio tempo, il fatto di non poter essere inserito in nessuna corrente, casella, movimento.
In realtà Mazzarelli ha compreso come l’arte, dai primi del Novecento agli anni ‘80, sia diventata sempre più un mondo a sé, in cui si consuma una rapida evoluzione e corrosione del linguaggio visivo, non tanto in rapporto al mondo e al reale, ma rispetto al linguaggio stesso e alla storia dell’arte. Dunque un sistema linguistico chiuso in cui ai segni corrispondono solo altri segni, in una circolarità perfetta.
Questo tipo di pratica circolare ha uno scopo molto chiaro: eliminare il concetto di referenza, poichè questo genera inevitabilmente la polisemia e l’ambiguità di ogni segno. Quest’idea disturba le tendenze costruttiviste che vorrebbero ridurre tutto a sistema analitico puro, fa inoltre girare a vuoto le tendenze informali, dal momento che la referenza priva i segni della loro immediata e pura espressione di pulsioni psichiche ed emotive.
Quello che secondo noi rende cruciale il lavoro di Luigi Mazzarelli è l’intento di partire dall'analisi di questa idea di erosione e circolarità del linguaggio per costruire una genealogia semantica che va a cercare un senso nelle ragioni stesse della pittura e della sua tradizione, nel suo patrimonio frettolosamente dilapidato dalle avanguardie.
Tutta la ricerca dell’artista, come vedremo, sarà quindi tesa a una ricostruzione degli strumenti del linguaggio pittorico, della semantica visiva o “grammatica del deserto” come lui la chiamava. Tutto questo, è importante dirlo, in quegli anni in cui il sistema dell’arte mondiale si trovava ostaggio di una apparente impasse imposta da un concettualismo che scambiava le sue proposizioni analitiche e tautologie linguistiche per una realtà oggettiva e universale.
Luigi Mazzarelli comincia il proprio discorso a partire dalla fine: il principio del suo cammino teorico è infatti la cosiddetta morte dell’arte. Questo concetto, sviluppatosi nel contesto dell’estetica Hegeliana, ha fatto coincidere la nascita dell’autoconsapevolezza artistico-estetica con il venir meno di un possibile equilibrio tra il contenuto e la forma nell’opera d’arte. Questo perfetto bilanciamento era stato raggiunto, secondo Hegel, soltanto con l’arte classica, momento di pienezza espressiva e di accordo tra il concetto-contenuto e la forma espressiva sensibile.
Questa morte non ha tuttavia nulla a che vedere con la fine delle opere d’arte o con la scomparsa dei grandi artisti: è semplicemente il venire meno dell’arte intesa come assoluto; la fine dell’arte moderna coincide con la sua incapacità di essere, a differenza di quella classica, espressione totale della sua enorme carica di contenuto filosofico e autoriflessivo.
Mazzarelli sente che l’arte deve necessariamente puntare a questo obiettivo per farsi carico di un rapporto espressivo pieno con il reale storico, culturale e naturale.
Il problema, per come viene posto e affrontato da Luigi Mazzarelli, è oggi più che mai valido e pregnante. Lo è almeno per noi e per chi crede che il linguaggio visivo offra parametri e riferimenti che diano forma e senso all’esperienza di vita e alla necessità di esprimersi.
Lo sforzo maggiore compiuto da Mazzarelli è stato il tentativo di offrire delle alternative alla fine del linguaggio, che per lui si era manifestata, chiara come una pietra tombale, nel Quadrato bianco su fondo bianco dipinto nel 1918 da Malevic.
E’ questo dipinto a portare al grado zero del linguaggio e, se il linguaggio lo prendiamo come fatto oggettivo, sociale, storico, questo quadro ci dà il benvenuto nel vuoto, nel nulla.
Quest’opera risolve definitivamente il rapporto tradizionale tra figura e sfondo, messo in crisi dal cubismo e definitivamente esauritosi nell’opera del suprematista russo.
E’ qui che si compie infine il percorso con cui l’arte, dall’impressionismo al suprematismo e infine all’informale ha cercato di torturare ed annichilire il linguaggio.
Fine. E inizio.
Per poter ridare al processo artistico il suo senso totale e pieno bisogna affrontare e risolvere questa impasse linguistica. Per Mazzarelli oggi non può avere prospettiva e futuro una pittura che non risolva prima le contraddizioni e l’afasia generata dalla tendenza iconoclasta delle avanguardie: è fondamentale ripartire da questo deserto per creare una semantica visiva in rapporto a quel riferimento centrale che è la natura.
Senza quell’atto traumatico che è stato il rogo del 1970, Mazzarelli non si sarebbe mai liberato del problema costituito dall’esaurirsi del linguaggio, dalla costante fibrillazione del pittore di provincia che cerca di tenersi al passo con le novità che arrivano dal continente. Era necessario prendere il problema di peso, fare tabula rasa e compiere uno sforzo semiologico titanico, che è confluito nell’ultima opera, colossale e mai esposta, di Mazzarelli: Il Libro Bianco.
Accogliere la forma di critica radicale da lui proposta, dunque, coinciderebbe col rigettare i prodotti di un’epoca che si sta ancora consumando dietro un’idea di progresso e di avanzamento artistico, un concetto rozzo di sperimentazione che coincide in maniera inquietante con l’isteria.
Non c’è così da meravigliarsi se Mazzarelli viene oggi riesumato solo come fondatore della rivista Thèlema o con sparute comparsate in mostre collettive amarcord: non si può pensare di venire celebrati ed esaltati da un sistema che si è cercato tanto a lungo di smantellare e minare.
La necessità impellente di Mazzarelli, il tavolo su cui ha scommesso tutto ciò che aveva, era il tentativo di far rientrare il linguaggio su un piano di contatto diretto con il reale, riunendo significato e forma. Questo significa riportare la rappresentazione a una forma di contatto col mondo capace di esprimerne, anche e soprattutto con sistemi aniconici, il complesso di relazioni che caratterizzano la conoscenza come forma di esplorazione cognitiva.
Per compiere questo processo era necessario attraversare la storia dell’arte alla ricerca di un filo interrotto ed originario da cui ripartire: un titanico sforzo analitico volto al recupero del possibile, alla scoperta di strade non percorse in quel processo di annichilimento del linguaggio costituito dalle avanguardie storiche.
Questo attraversamento, per come viene descritto, ha molto a che fare con il concepire un nuovo sistema di temporalità la cui struttura possiamo immaginare come un modello dinamico in cui i piani cronologici si trovano in un rapporto dialettico elastico e costantemente mutevole. Per intenderci, nessuna nostalgia o recupero in stile transavanguardia: Mazzarelli analizza questa corrente nei suoi testi evidenziando come, sebbene ci siano stati anche esiti pregevoli dal punto di vista artistico, questo genere di recupero abbia il fiato corto prima ancora di partire. L’attraversamento quindi si compie tra le pieghe del tempo che uniscono lembi cronologici coincidenti per un momento nel rapporto di breccia che il presente è capace di proiettare sul passato, al fine di modificare il proprio stato.
Questo modello temporale apre alla dimensione della possibilità, un approccio se vogliamo deterministico che per Mazzarelli, che riprende questa idea da Bergson, va a configurare il possibile come una dimensione che non prescinde dal reale. È il farsi del reale stesso (in questo caso in forma d’immagine) ad aprire la dimensione del possibile, a rendere visibili quei sentieri che avrebbero potuto essere percorsi e non lo sono stati, a fornirci la condizione di un arbitrio condizionato che possa liberare il presente ridando forma al passato, tramite la rivalutazione delle forme fossili e una loro riattivazione “animistica”.
Nel Libro Bianco vengono esplorati, in forma narrativa e visiva, sia il destino del linguaggio attraverso le avanguardie sia una sua possibile, originalissima e personale rifondazione. Si ripristina un senso attraverso mondi popolati di punti, linee, bacchette, spiedini, salsicciotti semantici che vengono codificati meticolosamente ed inseriti in un sistema linguistico che rielabora, connette e rigenera la grammatica Kandinskyana e il blotting di Cozens, la prospettiva aerea leonardesca e quella inversa bizantina.
Per compiere l’uscita dal deserto dell’impotenza creativa è però necessario qualcosa di più; è fondamentale liberarsi di ciò che l’idea di arte e di artista sono diventati negli ultimi settant’anni. Mazzarelli nel 1988, conclusa in maniera solitaria e drammatica l’esperienza di Thèlema, rassegna le sue dimissioni da artista con una lettera-opera di cui oggi non sappiamo il destino. Nel 1996 arrivò invece il secondo rogo, in cui tutta la produzione (ad eccezione del Libro Bianco) dell’artista in suo possesso, migliaia tra dipinti e disegni, alimenta un nuovo, enorme fuoco.
E’ anche grazie a questa dialettica legata alla distruzione spietata e alla ricostruzione radicale che oggi possiamo distinguere Mazzarelli da quegli artisti che hanno sviluppato forme di appropriazione ed emulazione linguistica che costituiscono la base programmatica delle avanguardie in Sardegna dagli anni ‘50 in avanti.
Il suo esercizio critico rigoroso nei confronti di sé stesso, dell’arte contemporanea e dei suoi interpreti è la via più chiara ed esatta all’analisi del valore di quanto, dagli anni ‘50 ai 2000, è stato prodotto in Sardegna sotto l’egida di un micro-sistema dell’arte ricalcato sull’imitazione di modelli nazionali ed internazionali.
III
Seguendo le orme di Luigi Mazzarelli abbiamo anche noi cercato una alternativa possibile alla lettura della storia recente dell’arte sarda; questo cammino a nostro modo di vedere è percorribile su un piano non solo artistico, ma soprattutto antropologico.