Occhio Riflesso
Enrico Piras - Alessandro Sau
2013 - 2016
[ITA] Occhio Riflesso è un progetto nato ed ideato in Sardegna nel 2013 da due artisti: Enrico Piras ed Alessandro Sau. Nel suo insieme si sviluppa attraverso una serie di mostre bi-personali della durata di un giorno, realizzate in spazi morfologicamente ed architettonicamente fortemente connotati rispetto agli stessi lavori esposti. In Occhio Riflesso il paesaggio diventa parte attiva e fondamentale della presentazione dei lavori, oltre che oggetto dei lavori presentati: questo assume così il ruolo di scenario per la costruzione di mostre in cui l’apparato strutturale della presentazione si unisce alle opere stesse, in una costruzione scenica in cui luci, generatori elettrici, proiettori, convivono e rendono possibile la realizzazione di una mostra in un contesto così atipico. Tutte le mostre del progetto sono state allestite e visitate unicamente dai due artisti autori delle opere, e sono dunque caratterizzate dall’assenza di pubblico (ad eccezione degli artisti stessi), così come dalla completa mancanza di una curatela esterna specifica (tutti gli aspetti relativi all’organizzazione espositiva sono stati fatti rientrare nella pratica artistica), e dall’abbandono della spazialità asettica ma fortemente caratterizzante del white-cube. Il progetto si sviluppa successivamente attraverso la documentazione fotografica: tutte le mostre sono state riprodotte e diffuse al pubblico attraverso internet e documentazione cartacea. La fotografia funziona dunque come riproduzione non solo dell’opera esposta, ma anche della costruzione scenica dell’allestimento in relazione allo spazio scelto: in questo caso sempre uno spazio diverso dal white-cube, presentandone ed enfatizzandone tuttavia le stesse modalità di presentazione e rappresentazione. I luoghi scelti divengono così parte integrante della documentazione dei lavori, che si caricano di una valenza narrativa necessaria ad amplificare visivamente le opere stesse.
[ENG] Occhio Riflesso is a project started in Sardinia, in 2013, by two artists: Enrico Piras and Alessandro Sau. The project was developed through a series of one day exhibitions (double solo exhibitions), set up in unusual contexts, that are conceptually and formally chosen for hosting these works. In Occhio Riflesso the landscape becomes an active and fundamental part of the exhibition of the works, and it doesn’t only stand as an object of representation in painting or photography, but it assumes the role of scenario for the construction of a semi-theatrical exhibition where the same structural part of the show, namely lights, materials, beamers, tools etc., live together with actual artworks, making possible the exhibition in a context so unusual. Every double solo exhibition of the project has been set up and visited only by the two artists, authors of the work exhibited. These shows are also characterized by the absence of spectators (except for the two artists), and by the complete lack of external curatorship (every aspect related to the organization of the exhibition has been included within the artistic practice), as well as the rejection for the aseptic space of the white-cube . At a later stage the project has been developed through the photographic documentation of every exhibition, allowing the diffusion of the project with print and digital media. In this sense photography represents not only the artwork exhibited but also the scenic set-up created in relation to that particular chosen space: in this case the space is always different from the white-cube but nevertheless plays the same role as means to presenting and representing the artworks.
I
OCCHIO RIFLESSO riconduce la natura dell’immagine e dell’opera d’arte alla propria autonomia ontologica, prescindendo dal contesto storico-espositivo e dallo spettatore. In generale il progetto si pone dunque come modalità di rappresentazione della realtà oltre lo spazio dell’esposizione come rappresentazione scenica, oggi costituita dal white-cube. Dunque nessuna di queste opere nasce secondo una referenza spaziale di relazione con l’estetica espositiva contemporanea ed il pubblico. Di conseguenza la scena ed il contesto delle mostre sono costruiti per il lavoro artistico e non viceversa.
Le categorie estetiche e conoscitive del sublime e del pittoresco sono strumenti, vocabolari espressivi attraverso cui il paesaggio viene ricondotto a simulacro di un’esperienza estetico-conoscitiva che si sviluppa nella rappresentazione. Questa diviene strumento critico di riflessione su temi come l’entropia e l’erosione dell’immagine (Egyptian Darkness); inoltre mira a riappropriarsi utopicamente dell’immagine come esperienza del mondo e come totalità coincidente con la realtà vissuta (Ways of Seeing).
Fotografia e pittura sono qui consapevolmente utilizzati come mezzi per il raggiungimento di un determinato fine: la pittura continua a voler esprimere una valenza veritativa rispetto alla realtà ma al di fuori della sfera religiosa, mentre la fotografia nega la sua valenza di tecnica di rappresentazione oggettiva del reale spingendosi verso un immagine negativa e soggettivante.
Negativo e positivo, esterno ed interno oltre ad essere qualità della relazione dialettica estetico-conoscitiva del sublime e del pittoresco, sono anche qui intesi come un ulteriore qualità della relazione tra l’opera d’arte ed il suo spazio. Il negativo si riferisce a quegli spazi creati per sottrazione al cui interno l’opera si da come immagine sopravvivente oltre l’arco cronologico della storia e quindi oltre la sua funzione sociale. Il positivo si riferisce invece a quegli spazi creati in relazione ad un’ evoluzione sociale che trova nell’oggetto artistico e nella sua sovrastruttura espositiva un nesso di potere simbolico e legittimante.
Le relazioni tra le categorie dialettiche del sublime e del pittoresco come filtri di riflessione sulla natura, trovano il loro rispecchiamento rispettivamente nella negazione della composizione sociale, per quanto riguarda il sublime, e nella formazione di classe per quanto riguarda il pittoresco. Quest’ultimo, come espressione armonica e composita della realtà naturale, si serve della funzione dell’arte come forma simbolica di valore e di legittimazione sociale. Al contrario gli spazi di natura negativa delegittimano questa stessa convenzione di valore attraverso una forma inversa e non-rappresentativa dell’immagine, sottratta alla possibilità di qualsiasi formazione di classe o gruppo sociale.
OCCHIO RIFLESSO si articola per quanto riguarda la documentazione del progetto sulla base dei seguenti punti:
L’OCCHIO esiste in quanto opera, mentre il RIFLESSO si costituisce attraverso una serie di mostre e dal loro doppio di documentazione fotografica, fittizia ma nondimeno reale dello sguardo sulla realtà scenica della mostra. In questo senso la fotografia si manifesta come riproduzione, non tanto dell’opera esposta in se, quanto della costruzione scenica dell’ allestimento in relazione allo spazio scelto: in questo caso sempre uno spazio diverso dal white-cube, presentandone ed enfatizzandone tuttavia le stesse modalità di presentazione e rappresentazione.
Questo doppio fotografico, ovvero la documentazione, diventa nuovo materiale attraverso cui il lavoro si legittima e viene presentato come artistico al pubblico. Tale documentazione verrà dunque prodotta secondo i canoni estetici di promozione del presunto oggetto artistico e sottoposta alle pratiche di libera produzione e riproduzione dell’immagine attraverso internet e la carta stampata.
Il RIFLESSO per la sua natura tecnica si caratterizza dunque per una riproducibilità infinita della propria esistenza in quanto doppio continuamente differente. Ogni presentazione dunque genererà nuove documentazioni valide artisticamente e riproducibili ad infinitum
I
OCCHIO RIFLESSO takes back the nature of the image and the work of art to its ontological autonomy, regardless of the historical-expositive context and the audience. The project acts, in general, as an approach to representation of reality beyond the scenic space of the exhibition, today represented by the white-cube. None of these works then is created on the basis of a spatial or relational reference with the contemporary exhibition context and the audience. The scene and the context of the exhibitions are constructed for the work and not vice versa.
The aesthetic and cognitive categories of the sublime and the picturesque are expressive tools through which the landscape is understood as a simulacrum of an aesthetic-cognitive experience which unravels in the representation.
Negative and positive, exterior and interior, are here presented as qualities related to the categories of the sublime and the picturesque, but also as further qualities of the relation between the work of art and its space. The negative refers to those spaces created by subtraction, in which the work exists as a surviving image beyond the span of history and thus beyond its social function. The positive refers instead to those spaces created by a social evolution that recognizes in the artistic object and in its expositive superstructure a link of symbolic and legitimating power.
The relations between the dialectic categories of the sublime and the picturesque are seen as reflective filters on nature, and find their mirroring respectively in the denial of social composition, and in the composition of class for the picturesque. This, as harmonic expression of natural reality, uses the function of art as symbolic expression of value and social legitimation. The negative spaces, instead, delegitimize this agreement of value through a non-representative form of image, subtracted from the possibility of any social composition.
In regard to the photographic documentation of the project, OCCHIO RIFLESSO has been grounded in these points:
The EYE (OCCHIO) exists as concrete, real work and exhibition, while the MIRROR (RIFLESSO) is constructed as a fictive double, which is nonetheless real in its photographic gaze on the scenic reality of the exhibition. Thus, photography is presented as a form of reproduction, not so much of the exhibited work, but of the scenic construction of the show in relation to its space: in this case it will always be a radically different space from the white-cube, but still presenting and enhancing the same modalities of presentation and representation.
This photographic double, namely the documentation, becomes new material through which the work is legitimated and presented as “artistic” to the audience. This documentation will be then produced according to the aesthetics of promotion of the alleged artistic work and will be infinitely reproducible through the web and printed reproductions.
The MIRROR (RIFLESSO), due to its technical nature, is subject to an endless reproducibility of its existence of eternally different copy. Thus each presentation will generate new documentations that will be reproducible ad infinitum
II
Per OCCHIO intendiamo riferirci alle nostre individuali ricerche distinte nei due progetti Egyptian Darkness and Ways of Seeing.
L’ OCCHIO si articola per le opere prodotte sulla base dei seguenti punti:
Si riconduce la natura dell’immagine e dell’opera d’arte alla propria autonomia ontologica.
L’atto creativo prescinde dalla presenza dello spettatore (se non l’artista stesso) e dal contesto storico-espositivo (se non quello scelto e utilizzato dall’artista per ragioni funzionali alla sua stessa opera).
Lo statuto artistico dell’opera e dell’immagine, in relazione al carattere intuitivo della ricerca artistica, trovano piena realizzazione al di fuori delle pratiche legittimanti del mercato dell’arte.
Le categorie estetiche e conoscitive del sublime e del pittoresco diventano strumento di riflessione e rappresentazione della realtà naturale.
La fotografia e la pittura sono trattati come due differenti mezzi di riproduzione e conoscenza della realtà.
Per RIFLESSO intendiamo riferirci a tutte quelle strutture discorsive, teoriche, speculative, che sono necessarie alla contestualizzazione storica dell’opera. Il riflesso non è affidato ad un curatore esterno, ma viene strutturato autonomamente dagli artisti attraverso l’utilizzo di strategie curatoriali e di diffusione dell’evento espositivo, ovvero:
La ricollocazione spaziale e l’allestimento dei lavori in quei luoghi che vengono ritenuti concettualmente e formalmente ideali per ospitarli.
La documentazione fotografica della mostra tramite installation shots.
La rappresentazione scenica diventa fondamentale non tanto per la visibilità delle opere quanto per la presentazione stessa dell’allestimento/spazio.
Il canone rappresentativo scelto, quello appunto dell’installation shot, restituisce un ideale pulizia e rigore formale all’immagine fotografica tipica dell’estetica del white-cube.
La documentazione si serve di in un camouflage fotografico dell’immagine capace di unire la spazialità sacra del white-cube con quella di una domus de janas.
Contraddicendo la fine Benjaminiana dell’aura come definitiva scomparsa dell’hic et nunc dello sguardo, l’utilizzo della fotografia per la riproduzione delle opere nel loro luogo originario e unico d’esposizione scelto dall’artista, restituisce all’opera d’arte il suo potere auratico.
L’aura viene veicolata secondo un nuovo paradigma di esposizione e dunque di valore, attraverso la continua presentazione, discussione e teorizzazione del progetto e della relativa documentazione fotografica realizzata dagli artisti.
L’utilizzo delle strategie curatoriali all’interno del procedere artistico comportano una trasformazione dall’aura: l’hic et nunc dello sguardo rispetto all’opera concreta si riproduce nel nuovo fascino della massima visibilità ed esposizione della documentazione fotografica dell’exhibition.
La produzione e diffusione di testi, libri, cataloghi e talk, ossia quegli strumenti che hanno storicamente legittimato la pratica curatoriale.
Nel RIFLESSO gli artisti prendono il controllo dell’apparato discorsivo, teorico, curatoriale, allestitivo per un’esigenza di conformità tra teoria e pratica artistica. Il discursive framing non è più affidato ad un esterno coinvolto nell’ideazione/ coproduzione/ricollocazione dei lavori, ma viene ricondotto all’artista.
I curatori che contribuiscono al progetto lo fanno attraverso apporti critici e testuali, ma non attraverso una cura che intervenga nello sviluppo creativo e allestitivo delle ricerche.
II
With the term OCCHIO, we refer to our individual and singular researches: Egyptian Darkness (Piras) and Ways of Seeing (Sau).
In regard to the artworks produced, the OCCHIO has been structured according to these points:
The nature of the image and that of the artwork have been brought back to its ontological autonomy.
The creative act overlooks the presence of the spectator (except for the artist himself) and the exhibition context (except for that specific space that has been chosen by the artist for artistic reasons).
Aesthetic and cognitive categories of the sublime and the picturesque become instruments of reflection and representation of reality.
Panting and photography are used as two different media of knowledge and representation of reality.
With the term RIFLESSO, we intend to point out all discursive, theoretical, speculative structures, which are necessary for the historical conceptualization of the artwork. The RIFLESSO is not entrusted to an external curator, but it is structured autonomously by the artist according to curatorial strategies, namely:
Spatial rearrangement and set up of works in those places that are conceptually and formally considered ideal to welcome them.
Photographic documentation of the show conforms to to installation shots.
The importance of the exhibition context does not lie so much in the visibility of the works as in the presentation of the exhibition space itself.
Documentation makes use of a peculiar photographic camouflage of the image in which a white-cube spatiality finds its spatial mirroring into a domus de janas.
Contradicting the end of the aura (according to Benjamin the definitive disappearance of the vision as an a hic et nunc of the sightin a certain time), the use of photography for the reproduction of the work in its ideal and original space, gives the aura back to the artwork.
By means of continuous presentations, discussions and theorizations of the project with the relative photographic documentation produced by artists, the aura ends up to be expressed according to a new paradigm of exposition and value.
Production and diffusion of texts, books, catalogues, and talks (namely those instruments that have historically characterized curatorial practice).
In the RIFLESSO artists take control over the complex system of curatorial practice (theoretic, discursive, and spatial practice) in order to achieve a better conformity between idea and actual application. The ‘discursive framing’ is no more entrusted to an external person involved in the idealization, production and displaying of the work but it is lead back to the artist.
Enrico Piras - Egyptian Darkness
Egyptian Darkness è una serie di immagini nelle quali l’occhio dell’osservatore e l’oggetto-paesaggio sono posti in un rapporto che attraverso il reciproco incontro/annullamento favorisce un approccio radicale e utopisticamente totale all’immagine. Attraverso l’utilizzo dei negativi fotografici e della scomposizione della luce si propone una visione degli spazi naturali e architettonici che vuole coincidere con la struttura anatomica e concettuale dell’occhio e dello sguardo. Egyptian Darkness è costituito da due serie di opere: la prima è composta di immagini scattate su pellicola fotografica 35 mm b/n, in cui esposizioni di superfici erose, cave e rovine, vengono sviluppate come negativi, intelaiate e proiettate come diapositive. L’immagine finale è una visione capovolta della luce e delle superfici, un calco fotografico del paesaggio e delle pareti erose. La seconda serie di lavori è composta invece da una serie di griglie prospettiche realizzate attraverso l’utilizzo di un prisma ottico. Queste griglie, disegnate e intagliate su carta, sono state utilizzate come misuratori e modificatori dello spazio di vari ambienti legati al progetto come grotte, domus de janas e bunkers. Le griglie vengono presentate attraverso una proiezione di dimensioni ambientali, che crea una scansione dello spazio e allo stesso tempo una decorazione parietale di grandi proporzioni. Le opere che fanno parte delle prime tre mostre (grotta artificiale, domus de janas, bunker), sono proiezioni di negativi fotografici, in forma di diapositiva, e proiezioni spaziali di disegni intagliati su carta, sulla base di pattern di linee ricavati dalla scomposizione della luce solare attraverso un prisma ottico. Queste proiezioni vengono esposte nelle successive tre mostre(pinnetta, villaggio minerario, villa nobiliare), sotto forma di stampe fotografiche di grande formato, e vengono così ri-fotografate in questi contesti.
Enrico Piras - Egyptian Darkness
Egyptian Darkness is a series of images in which the eye of the gazer and the object-landscape are placed in a relation that through the mutual encounter/erasure creates a radical and utopian absolute approach to the image. Through the use of the photographic negatives and the projections based on the decomposition of light I would like to propose a vision of natural and architectural spaces which coincides with the anatomical and conceptual structure of the eye and the gaze. Egyptian Darkness is composed by two series of works: the first is based on images realized on b/w 35mm film, in which the exposures of eroded surfaces of quarries and ruins are developed as negatives, framed and projected as slides. The resulting images are a reversed vision of light and surfaces, a photographic cast of the landscape and the eroded walls. The second series is made of a series of perspective grids realized through an optical prism. These grids, drawn and carved on paper, are used to measure and distort the space of various spaces related to the project, like the cave, the domus de janas and the bunker. The grids are presented through an environmental light projection that scans the space and creates a wall drawing of great proportions. The works presented in the first three exhibitions, into the negative spaces (the artificial cave, the domus de janas and the bunker), are projections of photographic negatives presented as slides, and spatial projections of drawings carved on paper, on the base of patterns of solar light generated through an optical prism. These projections are presented, in the following three exhibitions, within the positive spaces (the hut, the mining village and the noble building) as photographic prints, and are here re-photographed in these new contexts.
Alessandro Sau - Ways of Seeing
In questa serie di dipinti, che ho chiamato Ways of Seeing, ho lavorato secondo uno slancio intuitivo dello spirito in termini non più di conoscenza ma di sentimento. Attraverso il medium pittorico ho lavorato sull’immagine riscoprendo la natura come originaria esperienza sentimentale. Recuperando la pratica ottocentesca dell’en plein air, ho realizzato una serie di paesaggi raffiguranti grossomodo quell’area territoriale battuta dalle api, il cui raggio d’azione è solitamente pari a tre chilometri dal punto in cui le api hanno il loro alveare (le arnie sono state stanziate nelle campagne appartenenti al comune di Dolianova). Successivamente ho montato sulle tavole dipinte dei telai da melario. Ogni tempera posta nell’arnia viene lavorata nel suo retro (melario) dalle api che vivono e creano quello stesso territorio da me pittoricamente rappresentato (l’intero sistema ecologico di ogni territorio dipende per l’84% dall’azione di impollinazione delle api). La realizzazione del favo da parte delle api da origine ad un oggetto costituito per un lato da un immagine pittorica, per l’altro da un favo contenente miele. L’immagine come risultato pittorico di un esperienza sensoriale di conoscenza si unisce quindi ad un immagine ‘altra’ che si racchiude nel favo e nel miele prodotto dalle api. Durante le prime tre mostre (grotta artificiale, domus de janas, bunker), sono stati esposti alcuni studi pittorici di arnie. Si tratta di dipinti ad olio in bianco e nero, che rappresentano quasi in modo fotografico la struttura cerea esagonale del favo. Tali opere sono antecedenti alla realizzazione dei Ways of Seeing, dove il favo non è più dipinto ma diviene reale. Nelle successive tre mostre (pinnetta, villaggio minerario, palazzotto nobiliare), vengono invece esposti i Ways of Seeing, dipinti tempera su tavola, il cui retro è occupato interamente da favi di api.
Alessandro Sau - Ways of Seeing
With these series of paintings, which I named Ways of Seeing, I tried to regain the intrinsic romanticism of the image. I was interested in the rediscovery of nature as a sentimental experience. I inquired into the nature of the image, ceasing to recognize it in terms of knowledge and understanding. Regaining en plein air painting, I depicted that territory inhabited by my own bees, whose sphere of activity is usually three kilometres from the point in which they have their own beehive (in this case my beehives were kept in the mountains outside small town of Dolianova). Then I fixed the finished temperas to wooden beehive frames and I inserted them into the beehive. So the back of every tempera, each of which representing a certain area, was modified by those bees which have created the actual territory depicted in each painting (bearing in mind that 84% of the world’s terrestrial ecological system depends on bees action and pollination). After the bees have created their honeycomb, the result is an object that is a pictorial image on one side, and an actual honeycomb containing honey on the other. In this process the sensory experience of image is expressed in wax and honey through a different mode of comprehension. The normal understanding of images through the figurative approach of reality (the landscape represented in the paintings) is translated into a new language. The works presented in the first three exhibitions (the artificial cave, the domus de janas and the bunker), are painstaking pictorial studies of honeycombs. They are black and white oil on canvas, which represent, with photographic pictorial technique, the hexagonal structure of different honeycombs. Ways of Seeing temperas on panel are finally presented in the following three exhibitions (the hut, the mining village and the noble building). The back of these new paintings is occupied by authentic honeycombs.
Sand castings (Enrico Piras - Alessandro Sau)
Tra gli aspetti più importanti della nostra ricerca vi è il rapporto con l’immagine e quella che possiamo definire la sua fonte/origine/matrice. Questo rapporto inscindibile tra l’apparenza immateriale dell’immagine e la propria consistenza materiale, viene sviluppata attraverso la tecnica del sand casting in opere realizzate a quattro mani. Inventata dall’artista sardo Costantino Nivola, questa tecnica consiste di calchi realizzati a partire da un negativo disegnato in sabbia. Tracciato un disegno sulla sabbia (nel nostro caso il pattern geometrico del favo o le linee di luce scomposte dal prisma) e versato sopra del gesso liquido, i vuoti della sabbia incisa si rapprendono e si solidificano nel gesso. La tecnica del sand casting è probabilmente la modalità di lavoro più diretta ed efficace per esprimere la doppia qualità dell’immagine di essere al tempo stesso apparenza e forma concreta.
Sand castings (Enrico Piras - Alessandro Sau)
A fundamental aspect of both our researches is the relation between the image and that which we can consider its source/origin/matrix. This indivisible link between image’s immaterial appearance and its material consistency, is developed through the sand-casting technique in four-hands made works. Originally invented by Sardinian artist Costantino Nivola, this technique consists in the realization of casts created from a negative drawn on sand. By repeating the geometric pattern of the honeycomb or the lines of light decomposed by the optical prism on the sand, and casting on it some liquid plaster, the voids traced on sand become solid plaster. The result is a new sculptural matter formed by sand (collected in different points of Sardinia) and plaster. This casting process is probably the most direct and efficient modality of work to express the double quality of image: its natural disposition of being appearance and its material form at once.
Enrico Piras (Cagliari 1987) is an Italian visual artist and researcher, based in Cagliari, Italy. He holds a Bachelor of Fine Arts in Painting from the Accademia di Belle Arti di Sassari, and a Master of Arts in Fine Arts from the Utrecht Graduate School of the Arts (MAHKU), The Netherlands.
Alessandro Sau was born in Cagliari in 1981, and lives and works in Cagliari. He studied painting in Rome at Accademia di Belle Arti di Roma (BA) and received an MA degree in Art and Anthropology of the Sacred at Accademia di Belle Arti di Brera. He earned his MFA degree from the Transart Institute and University of Plymouth.
Occhio Riflesso
Enrico Piras - Alessandro Sau
2013 - 2016
[ITA] Occhio Riflesso è un progetto nato ed ideato in Sardegna nel 2013 da due artisti: Enrico Piras ed Alessandro Sau. Nel suo insieme si sviluppa attraverso una serie di mostre bi-personali della durata di un giorno, realizzate in spazi morfologicamente ed architettonicamente fortemente connotati rispetto agli stessi lavori esposti. In Occhio Riflesso il paesaggio diventa parte attiva e fondamentale della presentazione dei lavori, oltre che oggetto dei lavori presentati: questo assume così il ruolo di scenario per la costruzione di mostre in cui l’apparato strutturale della presentazione si unisce alle opere stesse, in una costruzione scenica in cui luci, generatori elettrici, proiettori, convivono e rendono possibile la realizzazione di una mostra in un contesto così atipico. Tutte le mostre del progetto sono state allestite e visitate unicamente dai due artisti autori delle opere, e sono dunque caratterizzate dall’assenza di pubblico (ad eccezione degli artisti stessi), così come dalla completa mancanza di una curatela esterna specifica (tutti gli aspetti relativi all’organizzazione espositiva sono stati fatti rientrare nella pratica artistica), e dall’abbandono della spazialità asettica ma fortemente caratterizzante del white-cube. Il progetto si sviluppa successivamente attraverso la documentazione fotografica: tutte le mostre sono state riprodotte e diffuse al pubblico attraverso internet e documentazione cartacea. La fotografia funziona dunque come riproduzione non solo dell’opera esposta, ma anche della costruzione scenica dell’allestimento in relazione allo spazio scelto: in questo caso sempre uno spazio diverso dal white-cube, presentandone ed enfatizzandone tuttavia le stesse modalità di presentazione e rappresentazione. I luoghi scelti divengono così parte integrante della documentazione dei lavori, che si caricano di una valenza narrativa necessaria ad amplificare visivamente le opere stesse.
[ENG] Occhio Riflesso is a project started in Sardinia, in 2013, by two artists: Enrico Piras and Alessandro Sau. The project was developed through a series of one day exhibitions (double solo exhibitions), set up in unusual contexts, that are conceptually and formally chosen for hosting these works. In Occhio Riflesso the landscape becomes an active and fundamental part of the exhibition of the works, and it doesn’t only stand as an object of representation in painting or photography, but it assumes the role of scenario for the construction of a semi-theatrical exhibition where the same structural part of the show, namely lights, materials, beamers, tools etc., live together with actual artworks, making possible the exhibition in a context so unusual. Every double solo exhibition of the project has been set up and visited only by the two artists, authors of the work exhibited. These shows are also characterized by the absence of spectators (except for the two artists), and by the complete lack of external curatorship (every aspect related to the organization of the exhibition has been included within the artistic practice), as well as the rejection for the aseptic space of the white-cube . At a later stage the project has been developed through the photographic documentation of every exhibition, allowing the diffusion of the project with print and digital media. In this sense photography represents not only the artwork exhibited but also the scenic set-up created in relation to that particular chosen space: in this case the space is always different from the white-cube but nevertheless plays the same role as means to presenting and representing the artworks.
I
OCCHIO RIFLESSO riconduce la natura dell’immagine e dell’opera d’arte alla propria autonomia ontologica, prescindendo dal contesto storico-espositivo e dallo spettatore. In generale il progetto si pone dunque come modalità di rappresentazione della realtà oltre lo spazio dell’esposizione come rappresentazione scenica, oggi costituita dal white-cube. Dunque nessuna di queste opere nasce secondo una referenza spaziale di relazione con l’estetica espositiva contemporanea ed il pubblico. Di conseguenza la scena ed il contesto delle mostre sono costruiti per il lavoro artistico e non viceversa.
Le categorie estetiche e conoscitive del sublime e del pittoresco sono strumenti, vocabolari espressivi attraverso cui il paesaggio viene ricondotto a simulacro di un’esperienza estetico-conoscitiva che si sviluppa nella rappresentazione. Questa diviene strumento critico di riflessione su temi come l’entropia e l’erosione dell’immagine (Egyptian Darkness); inoltre mira a riappropriarsi utopicamente dell’immagine come esperienza del mondo e come totalità coincidente con la realtà vissuta (Ways of Seeing).
Fotografia e pittura sono qui consapevolmente utilizzati come mezzi per il raggiungimento di un determinato fine: la pittura continua a voler esprimere una valenza veritativa rispetto alla realtà ma al di fuori della sfera religiosa, mentre la fotografia nega la sua valenza di tecnica di rappresentazione oggettiva del reale spingendosi verso un immagine negativa e soggettivante.
Negativo e positivo, esterno ed interno oltre ad essere qualità della relazione dialettica estetico-conoscitiva del sublime e del pittoresco, sono anche qui intesi come un ulteriore qualità della relazione tra l’opera d’arte ed il suo spazio. Il negativo si riferisce a quegli spazi creati per sottrazione al cui interno l’opera si da come immagine sopravvivente oltre l’arco cronologico della storia e quindi oltre la sua funzione sociale. Il positivo si riferisce invece a quegli spazi creati in relazione ad un’ evoluzione sociale che trova nell’oggetto artistico e nella sua sovrastruttura espositiva un nesso di potere simbolico e legittimante.
Le relazioni tra le categorie dialettiche del sublime e del pittoresco come filtri di riflessione sulla natura, trovano il loro rispecchiamento rispettivamente nella negazione della composizione sociale, per quanto riguarda il sublime, e nella formazione di classe per quanto riguarda il pittoresco. Quest’ultimo, come espressione armonica e composita della realtà naturale, si serve della funzione dell’arte come forma simbolica di valore e di legittimazione sociale. Al contrario gli spazi di natura negativa delegittimano questa stessa convenzione di valore attraverso una forma inversa e non-rappresentativa dell’immagine, sottratta alla possibilità di qualsiasi formazione di classe o gruppo sociale.
OCCHIO RIFLESSO si articola per quanto riguarda la documentazione del progetto sulla base dei seguenti punti:
L’OCCHIO esiste in quanto opera, mentre il RIFLESSO si costituisce attraverso una serie di mostre e dal loro doppio di documentazione fotografica, fittizia ma nondimeno reale dello sguardo sulla realtà scenica della mostra. In questo senso la fotografia si manifesta come riproduzione, non tanto dell’opera esposta in se, quanto della costruzione scenica dell’ allestimento in relazione allo spazio scelto: in questo caso sempre uno spazio diverso dal white-cube, presentandone ed enfatizzandone tuttavia le stesse modalità di presentazione e rappresentazione.
Questo doppio fotografico, ovvero la documentazione, diventa nuovo materiale attraverso cui il lavoro si legittima e viene presentato come artistico al pubblico. Tale documentazione verrà dunque prodotta secondo i canoni estetici di promozione del presunto oggetto artistico e sottoposta alle pratiche di libera produzione e riproduzione dell’immagine attraverso internet e la carta stampata.
Il RIFLESSO per la sua natura tecnica si caratterizza dunque per una riproducibilità infinita della propria esistenza in quanto doppio continuamente differente. Ogni presentazione dunque genererà nuove documentazioni valide artisticamente e riproducibili ad infinitum
I
OCCHIO RIFLESSO takes back the nature of the image and the work of art to its ontological autonomy, regardless of the historical-expositive context and the audience. The project acts, in general, as an approach to representation of reality beyond the scenic space of the exhibition, today represented by the white-cube. None of these works then is created on the basis of a spatial or relational reference with the contemporary exhibition context and the audience. The scene and the context of the exhibitions are constructed for the work and not vice versa.
The aesthetic and cognitive categories of the sublime and the picturesque are expressive tools through which the landscape is understood as a simulacrum of an aesthetic-cognitive experience which unravels in the representation.
Negative and positive, exterior and interior, are here presented as qualities related to the categories of the sublime and the picturesque, but also as further qualities of the relation between the work of art and its space. The negative refers to those spaces created by subtraction, in which the work exists as a surviving image beyond the span of history and thus beyond its social function. The positive refers instead to those spaces created by a social evolution that recognizes in the artistic object and in its expositive superstructure a link of symbolic and legitimating power.
The relations between the dialectic categories of the sublime and the picturesque are seen as reflective filters on nature, and find their mirroring respectively in the denial of social composition, and in the composition of class for the picturesque. This, as harmonic expression of natural reality, uses the function of art as symbolic expression of value and social legitimation. The negative spaces, instead, delegitimize this agreement of value through a non-representative form of image, subtracted from the possibility of any social composition.
In regard to the photographic documentation of the project, OCCHIO RIFLESSO has been grounded in these points:
The EYE (OCCHIO) exists as concrete, real work and exhibition, while the MIRROR (RIFLESSO) is constructed as a fictive double, which is nonetheless real in its photographic gaze on the scenic reality of the exhibition. Thus, photography is presented as a form of reproduction, not so much of the exhibited work, but of the scenic construction of the show in relation to its space: in this case it will always be a radically different space from the white-cube, but still presenting and enhancing the same modalities of presentation and representation.
This photographic double, namely the documentation, becomes new material through which the work is legitimated and presented as “artistic” to the audience. This documentation will be then produced according to the aesthetics of promotion of the alleged artistic work and will be infinitely reproducible through the web and printed reproductions.
The MIRROR (RIFLESSO), due to its technical nature, is subject to an endless reproducibility of its existence of eternally different copy. Thus each presentation will generate new documentations that will be reproducible ad infinitum
II
Per OCCHIO intendiamo riferirci alle nostre individuali ricerche distinte nei due progetti Egyptian Darkness and Ways of Seeing.
L’ OCCHIO si articola per le opere prodotte sulla base dei seguenti punti:
Si riconduce la natura dell’immagine e dell’opera d’arte alla propria autonomia ontologica.
L’atto creativo prescinde dalla presenza dello spettatore (se non l’artista stesso) e dal contesto storico-espositivo (se non quello scelto e utilizzato dall’artista per ragioni funzionali alla sua stessa opera).
Lo statuto artistico dell’opera e dell’immagine, in relazione al carattere intuitivo della ricerca artistica, trovano piena realizzazione al di fuori delle pratiche legittimanti del mercato dell’arte.
Le categorie estetiche e conoscitive del sublime e del pittoresco diventano strumento di riflessione e rappresentazione della realtà naturale.
La fotografia e la pittura sono trattati come due differenti mezzi di riproduzione e conoscenza della realtà.
Per RIFLESSO intendiamo riferirci a tutte quelle strutture discorsive, teoriche, speculative, che sono necessarie alla contestualizzazione storica dell’opera. Il riflesso non è affidato ad un curatore esterno, ma viene strutturato autonomamente dagli artisti attraverso l’utilizzo di strategie curatoriali e di diffusione dell’evento espositivo, ovvero:
La ricollocazione spaziale e l’allestimento dei lavori in quei luoghi che vengono ritenuti concettualmente e formalmente ideali per ospitarli.
La documentazione fotografica della mostra tramite installation shots.
La rappresentazione scenica diventa fondamentale non tanto per la visibilità delle opere quanto per la presentazione stessa dell’allestimento/spazio.
Il canone rappresentativo scelto, quello appunto dell’installation shot, restituisce un ideale pulizia e rigore formale all’immagine fotografica tipica dell’estetica del white-cube.
La documentazione si serve di in un camouflage fotografico dell’immagine capace di unire la spazialità sacra del white-cube con quella di una domus de janas.
Contraddicendo la fine Benjaminiana dell’aura come definitiva scomparsa dell’hic et nunc dello sguardo, l’utilizzo della fotografia per la riproduzione delle opere nel loro luogo originario e unico d’esposizione scelto dall’artista, restituisce all’opera d’arte il suo potere auratico.
L’aura viene veicolata secondo un nuovo paradigma di esposizione e dunque di valore, attraverso la continua presentazione, discussione e teorizzazione del progetto e della relativa documentazione fotografica realizzata dagli artisti.
L’utilizzo delle strategie curatoriali all’interno del procedere artistico comportano una trasformazione dall’aura: l’hic et nunc dello sguardo rispetto all’opera concreta si riproduce nel nuovo fascino della massima visibilità ed esposizione della documentazione fotografica dell’exhibition.
La produzione e diffusione di testi, libri, cataloghi e talk, ossia quegli strumenti che hanno storicamente legittimato la pratica curatoriale.
Nel RIFLESSO gli artisti prendono il controllo dell’apparato discorsivo,
teorico, curatoriale, allestitivo per un’esigenza di conformità tra teoria e pratica artistica. Il discursive framing non è più affidato ad un esterno coinvolto nell’ideazione/ coproduzione/ricollocazione dei lavori, ma viene ricondotto all’artista.
I curatori che contribuiscono al progetto lo fanno attraverso apporti critici e testuali, ma non attraverso una cura che intervenga nello sviluppo creativo e allestitivo delle ricerche.
II
With the term OCCHIO, we refer to our individual and singular researches: Egyptian Darkness (Piras) and Ways of Seeing (Sau).
In regard to the artworks produced, the OCCHIO has been structured according to these points:
The nature of the image and that of the artwork have been brought back to its ontological autonomy.
The creative act overlooks the presence of the spectator (except for the artist himself) and the exhibition context (except for that specific space that has been chosen by the artist for artistic reasons).
Aesthetic and cognitive categories of the sublime and the picturesque become instruments of reflection and representation of reality.
Panting and photography are used as two different media of knowledge and representation of reality.
With the term RIFLESSO, we intend to point out all discursive, theoretical, speculative structures, which are necessary for the historical conceptualization of the artwork. The RIFLESSO is not entrusted to an external curator, but it is structured autonomously by the artist according to curatorial strategies, namely:
Spatial rearrangement and set up of works in those places that are conceptually and formally considered ideal to welcome them.
Photographic documentation of the show conforms to to installation shots.
The importance of the exhibition context does not lie so much in the visibility of the works as in the presentation of the exhibition space itself.
Documentation makes use of a peculiar photographic camouflage of the image in which a white-cube spatiality finds its spatial mirroring into a domus de janas.
Contradicting the end of the aura (according to Benjamin the definitive disappearance of the vision as an a hic et nunc of the sightin a certain time), the use of photography for the reproduction of the work in its ideal and original space, gives the aura back to the artwork.
By means of continuous presentations, discussions and theorizations of the project with the relative photographic documentation produced by artists, the aura ends up to be expressed according to a new paradigm of exposition and value.
Production and diffusion of texts, books, catalogues, and talks (namely those instruments that have historically characterized curatorial practice).
In the RIFLESSO artists take control over the complex system of curatorial practice (theoretic, discursive, and spatial practice) in order to achieve a better conformity between idea and actual application. The ‘discursive framing’ is no more entrusted to an external person involved in the idealization, production and displaying of the work but it is lead back to the artist.
Enrico Piras - Egyptian Darkness
Egyptian Darkness è una serie di immagini nelle quali l’occhio dell’osservatore e l’oggetto-paesaggio sono posti in un rapporto che attraverso il reciproco incontro/annullamento favorisce un approccio radicale e utopisticamente totale all’immagine. Attraverso l’utilizzo dei negativi fotografici e della scomposizione della luce si propone una visione degli spazi naturali e architettonici che vuole coincidere con la struttura anatomica e concettuale dell’occhio e dello sguardo. Egyptian Darkness è costituito da due serie di opere: la prima è composta di immagini scattate su pellicola fotografica 35 mm b/n, in cui esposizioni di superfici erose, cave e rovine, vengono sviluppate come negativi, intelaiate e proiettate come diapositive. L’immagine finale è una visione capovolta della luce e delle superfici, un calco fotografico del paesaggio e delle pareti erose. La seconda serie di lavori è composta invece da una serie di griglie prospettiche realizzate attraverso l’utilizzo di un prisma ottico. Queste griglie, disegnate e intagliate su carta, sono state utilizzate come misuratori e modificatori dello spazio di vari ambienti legati al progetto come grotte, domus de janas e bunkers. Le griglie vengono presentate attraverso una proiezione di dimensioni ambientali, che crea una scansione dello spazio e allo stesso tempo una decorazione parietale di grandi proporzioni. Le opere che fanno parte delle prime tre mostre (grotta artificiale, domus de janas, bunker), sono proiezioni di negativi fotografici, in forma di diapositiva, e proiezioni spaziali di disegni intagliati su carta, sulla base di pattern di linee ricavati dalla scomposizione della luce solare attraverso un prisma ottico. Queste proiezioni vengono esposte nelle successive tre mostre(pinnetta, villaggio minerario, villa nobiliare), sotto forma di stampe fotografiche di grande formato, e vengono così ri-fotografate in questi contesti.
Enrico Piras - Egyptian Darkness
Egyptian Darkness is a series of images in which the eye of the gazer and the object-landscape are placed in a relation that through the mutual encounter/erasure creates a radical and utopian absolute approach to the image. Through the use of the photographic negatives and the projections based on the decomposition of light I would like to propose a vision of natural and architectural spaces which coincides with the anatomical and conceptual structure of the eye and the gaze. Egyptian Darkness is composed by two series of works: the first is based on images realized on b/w 35mm film, in which the exposures of eroded surfaces of quarries and ruins are developed as negatives, framed and projected as slides. The resulting images are a reversed vision of light and surfaces, a photographic cast of the landscape and the eroded walls. The second series is made of a series of perspective grids realized through an optical prism. These grids, drawn and carved on paper, are used to measure and distort the space of various spaces related to the project, like the cave, the domus de janas and the bunker. The grids are presented through an environmental light projection that scans the space and creates a wall drawing of great proportions. The works presented in the first three exhibitions, into the negative spaces (the artificial cave, the domus de janas and the bunker), are projections of photographic negatives presented as slides, and spatial projections of drawings carved on paper, on the base of patterns of solar light generated through an optical prism. These projections are presented, in the following three exhibitions, within the positive spaces (the hut, the mining village and the noble building) as photographic prints, and are here re-photographed in these new contexts.
Alessandro Sau - Ways of Seeing
In questa serie di dipinti, che ho chiamato Ways of Seeing, ho lavorato secondo uno slancio intuitivo dello spirito in termini non più di conoscenza ma di sentimento. Attraverso il medium pittorico ho lavorato sull’immagine riscoprendo la natura come originaria esperienza sentimentale. Recuperando la pratica ottocentesca dell’en plein air, ho realizzato una serie di paesaggi raffiguranti grossomodo quell’area territoriale battuta dalle api, il cui raggio d’azione è solitamente pari a tre chilometri dal punto in cui le api hanno il loro alveare (le arnie sono state stanziate nelle campagne appartenenti al comune di Dolianova). Successivamente ho montato sulle tavole dipinte dei telai da melario. Ogni tempera posta nell’arnia viene lavorata nel suo retro (melario) dalle api che vivono e creano quello stesso territorio da me pittoricamente rappresentato (l’intero sistema ecologico di ogni territorio dipende per l’84% dall’azione di impollinazione delle api). La realizzazione del favo da parte delle api da origine ad un oggetto costituito per un lato da un immagine pittorica, per l’altro da un favo contenente miele. L’immagine come risultato pittorico di un esperienza sensoriale di conoscenza si unisce quindi ad un immagine ‘altra’ che si racchiude nel favo e nel miele prodotto dalle api. Durante le prime tre mostre (grotta artificiale, domus de janas, bunker), sono stati esposti alcuni studi pittorici di arnie. Si tratta di dipinti ad olio in bianco e nero, che rappresentano quasi in modo fotografico la struttura cerea esagonale del favo. Tali opere sono antecedenti alla realizzazione dei Ways of Seeing, dove il favo non è più dipinto ma diviene reale. Nelle successive tre mostre (pinnetta, villaggio minerario, palazzotto nobiliare), vengono invece esposti i Ways of Seeing, dipinti tempera su tavola, il cui retro è occupato interamente da favi di api.
Alessandro Sau - Ways of Seeing
With these series of paintings, which I named Ways of Seeing, I tried to regain the intrinsic romanticism of the image. I was interested in the rediscovery of nature as a sentimental experience. I inquired into the nature of the image, ceasing to recognize it in terms of knowledge and understanding. Regaining en plein air painting, I depicted that territory inhabited by my own bees, whose sphere of activity is usually three kilometres from the point in which they have their own beehive (in this case my beehives were kept in the mountains outside small town of Dolianova). Then I fixed the finished temperas to wooden beehive frames and I inserted them into the beehive. So the back of every tempera, each of which representing a certain area, was modified by those bees which have created the actual territory depicted in each painting (bearing in mind that 84% of the world’s terrestrial ecological system depends on bees action and pollination). After the bees have created their honeycomb, the result is an object that is a pictorial image on one side, and an actual honeycomb containing honey on the other. In this process the sensory experience of image is expressed in wax and honey through a different mode of comprehension. The normal understanding of images through the figurative approach of reality (the landscape represented in the paintings) is translated into a new language. The works presented in the first three exhibitions (the artificial cave, the domus de janas and the bunker), are painstaking pictorial studies of honeycombs. They are black and white oil on canvas, which represent, with photographic pictorial technique, the hexagonal structure of different honeycombs. Ways of Seeing temperas on panel are finally presented in the following three exhibitions (the hut, the mining village and the noble building). The back of these new paintings is occupied by authentic honeycombs.
Sand castings (Enrico Piras - Alessandro Sau)
Tra gli aspetti più importanti della nostra ricerca vi è il rapporto con l’immagine e quella che possiamo definire la sua fonte/origine/matrice. Questo rapporto inscindibile tra l’apparenza immateriale dell’immagine e la propria consistenza materiale, viene sviluppata attraverso la tecnica del sand casting in opere realizzate a quattro mani. Inventata dall’artista sardo Costantino Nivola, questa tecnica consiste di calchi realizzati a partire da un negativo disegnato in sabbia. Tracciato un disegno sulla sabbia (nel nostro caso il pattern geometrico del favo o le linee di luce scomposte dal prisma) e versato sopra del gesso liquido, i vuoti della sabbia incisa si rapprendono e si solidificano nel gesso. La tecnica del sand casting è probabilmente la modalità di lavoro più diretta ed efficace per esprimere la doppia qualità dell’immagine di essere al tempo stesso apparenza e forma concreta.
Sand castings (Enrico Piras - Alessandro Sau)
A fundamental aspect of both our researches is the relation between the image and that which we can consider its source/origin/matrix. This indivisible link between image’s immaterial appearance and its material consistency, is developed through the sand-casting technique in four-hands made works. Originally invented by Sardinian artist Costantino Nivola, this technique consists in the realization of casts created from a negative drawn on sand. By repeating the geometric pattern of the honeycomb or the lines of light decomposed by the optical prism on the sand, and casting on it some liquid plaster, the voids traced on sand become solid plaster. The result is a new sculptural matter formed by sand (collected in different points of Sardinia) and plaster. This casting process is probably the most direct and efficient modality of work to express the double quality of image: its natural disposition of being appearance and its material form at once.
Enrico Piras (Cagliari 1987) is an Italian visual artist and researcher, based in Cagliari, Italy. He holds a Bachelor of Fine Arts in Painting from the Accademia di Belle Arti di Sassari, and a Master of Arts in Fine Arts from the Utrecht Graduate School of the Arts (MAHKU), The Netherlands.
Alessandro Sau was born in Cagliari in 1981, and lives and works in Cagliari. He studied painting in Rome at Accademia di Belle Arti di Roma (BA) and received an MA degree in Art and Anthropology of the Sacred at Accademia di Belle Arti di Brera. He earned his MFA degree from the Transart Institute and University of Plymouth.